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Cacciato Emilio, la nostra resta una "democrazia"

Il fatto che solo oggi, dopo due decenni, si possa commentare la scomparsa di Emilio Fede dagli schermi, che Silvio Berlusconi e i suoi famigli, pur di fronte ad ascolti non esaltanti, si siano avvalsi fino ad ora dei suoi servizi e servizietti, è un'ulteriore dimostrazione dell'importanza, da tanti sottostimata, del suo ruolo.

Non ricordo quando fu la prima volta che vidi il telegiornale di Emilio Fede (credo sia accaduto verso la metà degli anni ’90), ma ricordo la sensazione che ne ebbi.

Avevo già la più completa disistima dell’informazione del nostro paese e in particolare di quella televisiva, ma quello era davvero troppo. Non era solo una questione di faziosità (avevano già brillato, a riguardo, i notiziari del pentapartito e, dall’altra parte, quelli delle terza rete Rai), ma di stile: la derisione degli avversari politici del capo, con la storpiatura dei loro nomi e l’accompagnamento con smorfie di scherno di qualunque notizia li riguardasse, segnava un nuovo gradino nella discesa verso la barbarie politica che, con mia atroce disillusione, pareva già essere il carattere più vero delle neonata o nascente Seconda Repubblica. 

Non ne risi, come facevano i sinistrissimi amici che mi ospitavano, ma ci rimasi con l’amaro in bocca, specie quando questi mi spiegarono (vivevo all’estero, viaggiavo molto e seguivo pochissimo le cose italiane) che quello scempio andava in onda già da anni e che si era conquistato un nocciolo di fedelissimi telespettatori.

A farmi prendere dannatamente sul serio i lazzi di Fede, c’era la mia biografia: la mia conoscenza diretta - per avervi lavorato a fianco per anni e per esservi in fondo appartenuto - di un’Italia assai diversa da quella universitaria, colta e raffinata in cui vivevano i miei ospiti: un’Italia spesso dimenticata, certo ricca di valori, ma pure semi-analfabeta e ancora oggi assolutamente maggioritaria.

I numeri offerti dalle ricerche compiute dalla varie organizzazioni nazionali ed internazionali (per l’OCSE solo il 18,8 % degli italiani è in grado di comprendere un testo mediamente complesso; secondo l’Unione Nazionale per la Lotta contro l’Analfabetismo gli italiani di fatto analfabeti sono quasi 6 milioni) e quelli riguardanti la diffusione dei quotidiani (una copia ogni 11 abitanti a livello nazionale; una ogni 24 in certe aree del Sud) concordano, infatti, nel descrivere il nostro come un paese dove si legge pochissimo, “ignorante” quanto il Messico e in cui la maggioranza della popolazione non ha modo di sapere del mondo oltre la propria diretta esperienza, altro che quel che vede in televisione.

Il fatto che solo oggi, dopo due decenni, si possa commentare la scomparsa di Emilio Fede dagli schermi, che Silvio Berlusconi ed i suoi famigli, pur di fronte ad ascolti non esaltanti, si siano avvalsi fino ad ora dei suoi servizi e servizietti, dimostra che se sbagliai, nell’attribuirgli importanza, fu per difetto.

Non sono solo quelli senza titolo di studio, infatti, gli italiani che formano la propria opinione e decidono per chi votare nelle 5,2 ore giornaliere che, mediamente (il dato è di Altroconsumo e si riferisce al 2011), passano davanti al televisore. Capita anche a chi dovrebbe essere dotato di strumenti critici, d’arrivare a confondere la realtà con la sua rappresentazione televisiva; può essere accaduto anche a noi di trovare “antipatico” questo politico e “simpatico” quell’altro, senza ovviamente mai aver scambiato una parola con qualcuno dei due, giudicandoli solo in base all’ombra dei loro mezzi busti sul piccolo schermo.

Si aggiunga a questo il fatto che il successo elettorale è spesso questione di pochi voti, che per ottenerlo è sufficiente convincere una percentuale minima della popolazione a votare da una parte piuttosto che dall’altra, e si comprende quanto abbia contato Emilio Fede nella nostra storia recente .

Non mi pare il caso di sprecare parole di un cordoglio, che non sento, nel celebrare la sua dipartita televisiva. Preferisco ricordare che il nostro paese è sempre quello e che, chiunque sia il nuovo direttore del TG4, il ruolo giocato dall’informazione televisiva nella nostra politica resta importantissimo.

Fondamentale al punto da farmi ripetere per l’ennesima volta che, senza una legge anti-trust sulla raccolta pubblicitaria che imponga lo smantellamento del monopolio privato in campo televisivo, la nostra resterà sempre un democrazia zoppa.

Una “democrazia”.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.208) 29 marzo 2012 21:12

    Era ora che se ne andassse questo ridicolo mitomane.Nell’informazione l ’aria resta sempre mefitica ma senza di lui almeno l’impressione è quella di respirare un pò meglio.

  • Di (---.---.---.162) 30 marzo 2012 09:57

    Era ora che lo mandassero a casa, ormai alla sua ora la gente cambiava canale da anni, era un cane da cortile che abbaiava a comando, quindi neppure di razza.

    C’é da domandarsi perché mai in Italia uno come Fede abbia la possibilità di campare così a lungo (professionalmente intendo) allorché fu cacciato dalla RAI per abusi sui baget di spesa e altro. 
    Il cancro vero che non fa di certo bene al paese é il sistema in cui a sguazzato per anni, quindi si dovrebbe chiedere a viva voce che vadano a casa tutti, compresi quegli che hanno tratto vantaggi dei servizi e dai piaceri di Fede.

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