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Burqa, crocifisso... Simboli e realtà

Il burqa, il crocifisso e altri simboli più recenti sono esternazioni di una idea o sono l’ostentazione della stessa?

Esternazione, cioè esternare, far partecipi altri delle proprie idee e altro.
Ostentazione, cioè ostentare, far partecipi altri delle proprie idee e altro in modo insistente e provocatorio.

Tutte due i termini, che sono complementari l’uno all’altro, si riferiscono a situazioni palesemente connaturate alla volontà di comunicare/far conoscere se stessi agli altri, e fin qui non ci trovo niente di male; chiunque abbia delle idee e sia "sociale" ha questa tendenza.

I due termini sono applicabili alle idee propriamente dette, ma anche ai simboli che sono altro modo, diverso dalle parole, di esprimere le idee; però "ostentare, come detto, implica anche una certa volontà di influire sulle idee altrui per modificarle, e questo non è bene.

Ma dove finisce l’esternazione e dove incomincia l’ostentazione?

Come si può dire che il burqa è un’ostentazione e il crocifisso una esternazione? Ambedue, storicamente, non fanno parte dei principi su cui si basano le rispettive religioni; sia il crocifisso che il burqa, fanno parte di "tradizioni" preesistenti, vengono inserite nella religione a causa, probabilmente, delle resistenze degli adepti originari. Tutte e due fanno parte del bagaglio culturale e vengono usati, sia per rendere visibile la propria appartenenza sia per opera di divulgazione.

Si può obiettare che il crocifisso ha comunque una storia legata al capostipite della religione stessa e che col tempo ha acquisito il diritto di diventare, a tutti gli effetti, un principio; però, nei vangeli, non si fa riferimento al crocifisso nella esposizione dei principi ma solo durante l’esecuzione - che tra l’altro, la crocifissione, era pratica comune a quel tempo.

Pertanto, chiunque decida la linea di confine, lo fa in modo arbitrario.

Perciò, esternare o ostentare, non è il problema.

Questo ci porta a considerare i simboli come comunicazione esteriore del proprio appartenere; tutti i simboli, siano essi religiosi, atei, laici o altro, portano con sé violenza e sangue. Nel corso della storia, tutti hanno avuto bisogno, per affermarsi, di imporre il proprio punto di vista attraverso i simboli, e ciò, ha influito anche sul significato intrinseco dell’idea che rappresentavano. Idea che, inizialmente, non è altro che una visione diversa da quella precedente - con ciò, non intendo che le idee siano sempre positive ma che, anche la dove lo sono, i simboli tendono a cristallizzare il significato annullando il principio su cui si basano - mirante a instaurare un sistema che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe portare a una miglior gestione della società.
 
Inoltre, i simboli, nascendo all’interno di singole culture hanno, di per sé, aspetti che fanno riferimento solo alle culture da cui sono espressione, perciò, difficilmente possono essere applicabili, pacificamente, a altre culture.

Considerando anche che le culture moderne, essendo il risultato di un’evoluzione millenaria, si basano, ognuna, su presupposti indipendenti, la possibilità di un loro incontrarsi pacifico è molto labile. Pertanto, l’introduzione di nuovi simboli all’interno di una data società comporta, necessariamente, un confronto/scontro tra le componenti portatrici di tali simboli. Questo lo si può dedurre anche dalla nostra storia...
 
Ciò che sta avvenendo oggi nel mondo a livello di migrazioni, se non gestita correttamente, potrebbe portare ad una situazione conflittuale generalizzata dal punto di vista socioculturale.
 
Di fronte al grande movimento migratorio moderno, non più determinato da fattori di espansione intesa come conquista, ma da necessità oggettive delle popolazioni di fuggire da situazioni rese invivibili dall’eccessivo sfruttamento del pianeta e dall’allargamento del mercato (globalizzazione) anche a paesi emergenti e poveri e che ha causato i disastri economici alla base delle migrazioni, - non intendo riferirmi a nessuno in particolare - si rende necessaria una politica globale, condivisa dai maggiori paesi industrializzati, capace di gestire nel rispetto dei diritti e comunque senza perdere, ne quelle conquiste - in modo particolare nel campo dei diritti - raggiunte dalla nostra società dopo secoli di storia e a prezzi altissimi, né la capacità di dividere quelli che sono i problemi reali da quelli emotivi. Ciò serve a non cadere nell’illusione che tutto si può permettere al di la delle conseguenze.
 
Proibire pratiche come il burqa, l’infibulazione, portare armi e quant’altro, non significa limitare le libertà altrui - considerando anche che, almeno per le donne, pratiche come il burqa e l’infibulazione sono un segno di inferiorità e non di uguaglianza - ma portare gradualmente alla coscienza dei migranti la necessità, sia di rispettare le regole dei luoghi dove vivono sia di una nuova visione della vita stessa pulita da quei simboli che nulla hanno a che fare con la loro cultura religiosa vera e propria e che gli sono stati imposti da una cultura basata esclusivamente sulla tradizione.
 
Al riguardo andrebbe valutata seriamente la possibilità di una limitazione dei simboli propri della cultura ospitante, non perché sono essi i portatori di disagi, ma per evitare un susseguirsi di richieste di (falsa) parità di diritti che porterebbe (come già succede) ad una escalation delle contrapposizioni tra le diverse culture. 
Certo, non si cambia in una generazione o due, ma è proprio per questo che si deve intervenire anche con la legge; i problemi inerenti all’immigrazione non riguardano solo i simboli ma anche il loro inserimento nello strato sociale. Le proposte della lega e quelle del ministro dell’istruzione, al riguardo, di sicuro tendono a creare una ghettizzazione, che non implica necessariamente raggruppare in spazi delimitati i portatori di diversa cultura, proprio perché non dividono la necessità oggettive da quelle emotive.
 
Perciò, come dicevo sopra, il problema non è esternare o ostentare, ma la capacità di affrontare il problema in modo oggettivo cercando di superare razionalmente l’emotività. 
 
Se, per emotività s’intende uno stato d’animo basato su sentimenti - che possono essere negativi ma anche positivi - derivanti dall’incertezza nell’affrontare un problema che comporta un costante confronto con una diversa cultura, allora è importante la razionalizzazione dell’emotività. 
 
Non è facile, ma se non si acquisisce questo presupposto, anche la legge, di per se, non basta.

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