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Brasile, spopola l’agricoltura no food: a quale prezzo?


Lo sviluppo agroindustriale brasiliano, legato in particolare alle colture no food (non destinate all’alimentazione) è in progressiva crescita. Oggi il Brasile è il primo produttore mondiale di bio carburanti (etanolo da canna da zucchero) e il secondo di mangimi (ottenuti da soia e mais) per allevamenti. L’impressionante crescita economica del gigante latinoamericano dell’ultimo decennio è dovuta principalmente a questo settore. Una crescita, attualmente superiore a quella dell’India, che ha consentito in pochi anni la cancellazione del debito estero. Un successo incontestabile per la presidenza di Luiz Inácio "Lula" da Silva, ma che ha un prezzo. Prima di tutto un prezzo ambientale: il tasso di deforestazione nel nord del Paese è aumentato drasticamente negli ultimi dieci anni. Il secondo, e ancora più grave, è un prezzo sociale.
All’inizio del 2006 14 tagliatori di canna da zucchero morirono nel giro di quindici giorni di fatica in alcune aree dello stato di São Paulo. Decessi avvenuti durante la raccolta "estiva", quella considerata la più dura ma anche più ricca. Il caso balzò sulle prime pagine di tutti i giornali brasiliani. E svelò quello che si nascondeva dietro al fenomeno dei biocarburanti. Morti di fatica. Lavoratori a cottimo che se non raggiungevano i 18 quintali giornalieri di canna tagliata non venivano neppure pagati. Per capire di cosa stiamo parlando, è necessario descrivere come si coltiva e si raccoglie normalmente la canna per la produzione di etanolo. Le piantagioni (che producono fino a due raccolti annui) hanno estensioni medie di un migliaio di ettari. Monoculture ottenute anche grazie all’uso sistematico di diserbanti e insetticidi. Immediatamente prima della raccolta le piantagioni vengono incendiate. Il "tronco" centrale della canna da zucchero è resistente al fuoco, si bruciano solo le foglie e si ottiene anche la "bonifica" del terreno da insetti e animali (in particolare serpenti). A questo punto, a fiamme appena spente, entrano in azione i tagliatori, che a mano con machete e falce abbattono i tronchi e li caricano su rimorchi che poi trasporteranno il prodotto alle distillerie. Un lavoro infernale.


Il caso del 2006 non è isolato. Di decessi ogni anno se ne contano a decine se non centinaia. Quei 14 morti fecero notizia solo perché avvennero in uno Stato, quello di São Paolo, considerato fra i più sviluppati, con la maggiore presenza dei sindacati agrari e con maggiore controllo sulle condizioni sanitarie di lavoro. Nel nord del Paese, dal Tocantis al Pará, Santa Catarina e Rio Grande do Sul, dal Mato Grosso all’Amazonas, un morto di fatica non fa notizia, come non fanno notizia le uccisioni e le violenze verso sindacalisti e militanti dei movimenti sociali (primo fra tutti lo Mst, il movimento dei sem terra brasiliani).
Il rapporto annuale della Pastorale della Terra (Cpt) sui conflitti della terra mostra un quadro desolante. Nel 2007 c’è stata una diminuzione degli "assassini" legati a vertenze: nel 2006 erano stati 39, l’anno successivo "solo" 28. Ma quello che preoccupa non è tanto il numero dei decessi, quanto la diffusione territoriale dei conflitti e delle violenze. Nel 2007, infatti, è iniziato un fenomeno di espulsione di famiglie dalle aree agrarie per fare spazio a nuove monoculture produttive anche in aree del Paese che finora non avevano subito l’aggressività delle aziende (brasiliane e non) in cerca di nuove aree produttive. In particolare questo è avvenuto negli Stati del Sud est (São Paulo, Rio de Janeiro, Minas Gerais e Espírito Santo i più ricchi e sviluppati del Paese) con un aumento del 358% di espropri in un solo anno.
Anche altre regioni sviluppate del sud sono al centro di questa offensiva, una vera e propria trasformazione e modernizzazione del latifondismo in agro business. Negli Stati di Paraná, Santa Catarina e Rio Grande do Sul sono drasticamente in aumento i casi di violenza e anche di omicidi legati a conflitti relativi a espropri o contese di proprietà. E allo stesso tempo, dopo anni di relativa "pace" e di conflitto mediato da un governo relativamente amico, si è alzato anche il livello di scontro nei confronti dei sem terra. In aumento infatti sia gli arresti che gli sgomberi di accampamenti mentre l’attuazione della riforma agraria, diritto costituzionale voluto e promosso dallo stesso Lula durante il suo primo mandato presidenziale, è di fatto ferma al palo: il governo non la sta più finanziando adeguatamente. Le conclusioni del rapporto annuale della Cpt sono inequivocabili. La politica economica di Lula, basata sullo sviluppo dei bio carburanti e dell’agro business, sta non soltanto creando i presupposti di una nuova forma ancor più violenta di latifondismo (dall’unico proprietario si passa all’impersonale corporation), ma sta contribuendo in modo sostanziale alla crisi dei prezzi dei cereali e sottraendo quote fondamentali di terra destinate allo sviluppo sociale, prima, e alla produzione alimentare di sostentamento, poi.

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