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Bossing, mobbing, straining: il silenzio degli innocenti

Comportamenti subdoli e vigliacchi adottati dalle aziende per eliminare, annientare e distruggere un dipendente. E’ arrivato il momento di alzare la testa e dire basta, i mezzi, pochi ma ci sono e funzionano. 

La nostra giurisprudenza, non prevede norme efficienti e deterrenti atte a scoraggiare e ad arginare definitivamente con pene adeguate il dilagante e silente fenomeno del mobbing, inteso in tutte le sue forme più abbiette, come invece accade nel resto dei paesi d’Europa.

Vediamole in sintesi: il mobbing è un insieme di comportamenti definiti violenti. Si tratta di veri e propri abusi psicologici manifestati sotto forma di angherie, dispetti, vessazioni, emarginazione, umiliazioni, maldicenze e ostracismi perpetrati da parte di colleghi nei confronti di un lavoratore.

Questo comportamento, prolungato nel tempo, può essere lesivo della dignità personale e professionale nonché della salute psicofisica della vittima. Il bossing o job-bossing è simile al mobbing, si differenzia dal fatto che viene messo in atto da un vertice aziendale verso un subordinato. Si tratta di una persecuzione tecnicamente affinata nei minimi dettagli, spesso con la complicità di altri attori vili e consenzienti, che mira a porre una persona nelle condizioni di doversi licenziare per alleviarsi le pene che subisce.

Lo straining è un conflitto che si svolge sempre sul posto di lavoro, ad opera di persone che ricoprono ruoli di comando e si caratterizza prevalentemente con isolamento forzato, demansionamenti, mancato aggiornamento delle normali pratiche di lavoro, dal telefono che viene tolto definitivamente dalla scrivania, attacchi alla reputazione della persona e molestie sessuali.

Chi riceve queste disdicevoli attenzioni, difficilmente trova la forza di denunciare il persecutore proprio per il fatto che la legge non garantisce alla parte lesa la necessaria protezione così come accade per altri crimini più noti. Complice anche la difficoltà di dimostrare fatti che, nel diluirsi del tempo, perdono sempre più di particolari utilissimi in fase dibattimentale.



Per tale motivo la vittima deve necessariamente avvalersi della consulenza e assistenza di un legale e prendere nota scritta, nel dettaglio, di tutto quanto gli viene perpetrato, citando luoghi, testimoni presenti, date e orari. Purtroppo si tratta ancora di una zona franca del crimine dove persone senza scrupoli né morale si muovono indisturbati, certi di non essere mai colpiti dalla legge proprio perché si tratta di fatti che moltissimi subiscono ma che poi non vengono denunciati.

La legge 81, seppur ancora inadeguata, sembra aprire uno spiraglio di speranza. Siamo sempre troppo lontani dalla tutela vera e propria. Il mobbing è un crimine contro la persona, è un modo vigliacco di uccidere ed annientare lentamente il predestinato. Va anche considerato che si tratta di una spesa che viene accollata ingiustamente alla collettività. Le cure che deve subire un mobbizzato sono dispendiose, e lunghe: dalle sedute psichiatriche e psicologiche agli psicofarmaci, al reinserimento nel lavoro, per poi finire con le spese legali per la difesa. Un’assurdità è che la stessa INAIL ritiene il mobbing un danno da lavoro mentre è pura opera volontaria di un individuo contro un altro.

Non bisogna assolutamente abbassare la guardia ma combattere, denunciare e portare in tribunale coloro che cagionano le angherie legate a questa pratica deplorevole. Raccogliere quanto più materiale sia possibile, anche le registrazioni audio servono per inchiodare questi personaggi che meritano assolutamente solo il carcere, senza condizionale. Chi non ha provato sulla propria pelle questo tipo di violenze, non riesce neppure lontanamente ad immaginare quanto devastanti siano e su quante altre realtà si ripercuotano: dalla famiglia, alla vita privata, agli amici, alla psiche, all’autostima.

Alcune aziende, spesso ignorano che alcuni di quelli che si ostinano a chiamare "responsabili", pratichino vessazioni ai loro dipendenti. Quando se ne accorgono tentano in modo vile e subdolo di correre ai ripari. Cercano di creare le condizioni che in tribunale gli possano concedere qualche attenuante. Ormai il danno è fatto. La legge dice che le aziende che non hanno saputo monitorare su tali comportamenti devianti dei loro dirigenti e/o dipendenti, pagheranno l’adeguato risarcimento alla vittima.

La prima cosa da fare è quella di non lasciarsi intimorire, rivolgersi ad un legale possibilmente specializzato in cause di lavoro e farsi certificare il mobbing, il bossing o lo straining secondo il metodo Ege 2002, questo è determinante in fase dibattimentale.

I professionisti in Italia che possono relazionare in tale direzione non sono molti ma ci sono e vale assolutamente la pena di consultarli. Esistono centri convenzionati con le ASL in grado di misurare e redigere il grado di stress da lavoro che un individuo ha subito. La consulenza di uno psicologo del lavoro, le certificazioni e la denuncia del mobbing sono passi fondamentali per dire basta ad una pratica che non fa e non deve far parte del mondo del lavoro, bandita dal resto dei paesi d’Europa.

Commenti all'articolo

  • Di gabriele (---.---.---.1) 17 ottobre 2009 09:27

    mi occupo di tematiche di disagio lavorativo e di devianza minorile ed ho messo online la mia esperienza al sito
    www.sportellomobbing.it
    cliccand sul logo di slideboom sulla homepage si apre una pagina web con una serie di video didattici di cui alcuni riguardantile attività di prevenzione e di contrasto del fenomeno del mobbing atttuate nella Regione Marche dal Comitato Paritetico sul fenomeno del Mobbing. Inutile dire che mobbing bossing......si arginano solo con la prevenzione a volte le persone non hanno la percezione dei danni che alcune loro malevoli azioni sul luogo di lavoro possono creare

  • Di Silvia (---.---.---.131) 17 ottobre 2009 12:05

    Vi segnalo il sito del Dottor Fanelli Alessio che è uno dei professionisti in grado di certificare il mobbing secondo lo standard segnalato nell’articolo:

    http://www.consulenza-mobbing.it/index.htm

    Il mobbing è uno stupro psicologico, psichico. Non deve passare impunito!

    Grazie

  • Di Ricky (---.---.---.235) 17 ottobre 2009 14:37

    Condivido in pieno quanto hai esposto, tra l’altro in maniera molto chiara e di facile comprensione. Il mobbing, il bossing ecc. sono violenze che non sono paragonabili ad uno stupro, ma lasciano comunque un grave segno sulla stabilità psicologica di chi ne è stato vittima. E’ soprattutto lo stato di impotenza che poi porta ad una frustrazione che può creare problemi influenzando così la stabilità della persona e che non è circoscritta al solo orario di lavoro, ma si riperquote anche a casa, con gli amici ed i famigliari. Ed è anche vero che mancano gli strumenti legali per combattere questa piaga, come non ci sono nemmeno gli strumenti legali che permettano ad un datore di lavoro di sbarazzarsi o di punire in modo adeguato i "fannulloni". Ma i nostri giudici e legislatori hanno altro a cui pensare. Non ci resta, chi da una parte e chi dall’altra, che combattere da soli queste battaglie.
    Ringraziamo lo stato e continuiamo a pagare le tasse.

  • Di pv21 (---.---.---.202) 17 ottobre 2009 17:34

    Tutti argomenti gravi e seri, ma non si può sperare di difendersi quando ... la diffamazione e l’intimidazione diventano strumenti di lotta politica (in nome di democrazia e libertà). La prima risposta deve nascere dalla rivincita dello spirito democratico. Questo insegnano Le voci dentro l’eclissi di personaggi simbolo di rigore, coerenza, senso di responsabilità ed impegno civile. Questo si può ricavare dalla storia de Il Barbiere ed il lupo e dalle cose impensabili che può far fare la paura. (c’è di più => http://forum.wineuropa.it 

  • Di ballon (---.---.---.76) 17 ottobre 2009 20:16

    Una sola rettifica al tuo interessantissimo articolo: il titolo.
    Il silenzio non è mai innocente. denunciare, denunciare, denunciare.

  • Di Elsa67 (---.---.---.45) 17 ottobre 2009 22:29

    Mi dispiace dissentire parte del commento del lettore Ricky. Il fatto di avere un dipendente fannullone non autorizza nessuno ad utilizzare comportamenti riprovevoli. Esistono sistemi democratici ed umani per affrontare il problema, sempre che un’azienda ne sia all’altezza. All’origine di un comportamento esiste sempre una causa che va individuata e che da sola fornisce una risposta, una soluzione. La giustizia sommaria non deve esistere, la morale non deve diventare giustizia! Il nocciolo del discorso non è questo. Il mobbing, inteso in tutte le sue forme, non viene praticato ai fannulloni solamente. Io subisco mobbing da molti anni e lo sto combattendo esattamente come il giornaista ha descritto. Io non sono una fannullona. ho sempre lavorato sodo per l’azienda in cui presto il mio servizio, ed ho sempre cercato di emergere mettendo in mostra le mie capacità e le mie performance lavorative, prima di chiedere qualunque aumento di livello o economico. Il problema è che faccio ombra ad un "kapò" che ha solo l’istinto dell’affre e null’altro. Tanto di cappello, sono persone preziose nel lavoro ma io ho comunque diritto alla mia carriera, non credi? A parte le leggi che mancano indubbiamente, nelle aziende, soprattutto quelle del nord-est, quelle del miracolo economico, manca alla base una cosa fondamentale: il rispetto e la cultura. Ho colleghe molestate con proposte di incontri sessuali, umiliazioni che mi sono state raccontate con le lacrime agli occhi. Nessuna prova! Il "vile porco", perchè di questo si tratta, si chiude in ufficio, dove le orecchie dei colleghi non arrivano e non sempre si ha un registratore a portata di mano. Forse in questo momento la morale potrebbe diventare giustizia! Forse solo nel caso in cui, dopo oltre un decennio di vessazioni, umiliazioni, demansionamenti e mortificazioni quando una persona in border line si reca al lavoro e commette una strage, come accade negli Stati Uniti d’America, ebbene forse solo in quel momento il legislatore, l’opinione pubblica inizierà ad interrogarsi. Mi auguro che ciò non accada mai. Auspico chei giudici, nella loro grande esperienza e lungimiranza, infliggano pene economicamente sempre più onerose e che mettano in ginocchio questi surrogati umani una volta per tutte.

    • Di (---.---.---.240) 7 marzo 2015 20:27

      ...In Italia le Leggi in ambito di tutela del Lavoratore cantano carte mezze e l’intero Sistema Giudiziario sonnecchia,finchè scapperanno i primi morti,forse allora qualcuno e con paciosa calma potrà prendersi la briga e occuparsene con dei provvedimenti. Mobbing,Bossing e Straiming sono delle vere e proprie pratiche criminali,in una società dove marcia l’individualismo ed ognuno "si fa i propri affari".

  • Di silvana (---.---.---.221) 21 ottobre 2009 12:39

     

     Considerazioni su Mobbing e mafiosità

     

    Allorquando in un’azienda, apparentemente sana, chi detiene le leve decisionali è un gruppo di potere, che comprende, tra l’altro, i così detti “colletti bianchi”, le regole “tacite” di comportamento, che si instaurano in esso, rispondono spesso a logiche clientelari, che ruotano attorno all’abuso di ufficio e sfociano in atti discriminatori; dette logiche si ispirano, insomma ad una deontologia finalizzata a svuotare di significato concetti quali dignità umana, solidarietà e trasparenza, che rimarranno sterili parole.

    In tale contesto diventa estremamente facile adottare tutte quelle figure sottili e subdole di violenza psicologica, miranti a distruggere e ad annientare un lavoratore “scomodo” al fine di “addomesticarlo” per piegarlo alla volontà di chi “decide”, il quale sa di poter contare sul silenzio omertoso dei colleghi che tacciono o perché conniventi o per paura di possibili analoghe ritorsioni. Ove è possibile, quindi, avvalersi delle più svariate forme di persecuzione e terrorismo psicologico nei confronti di un essere umano, la vittima prescelta o si piega alle regole “tacite e immorali”, fissate da chi effettivamente comanda o è destinata ad essere estromessa solo perché considerata “diversa”. La vittima si trova, pertanto, impotente a reagire ai suoi aguzzini.

    Il configurarsi di una siffatta situazione nell’ambiente lavorativo, con un termine moderno, viene definito con la parola “mobbing”, il quale – secondo i dizionari più aggiornati – è illustrato come “ sistematica persecuzione, esercitata sul posto di lavoro da colleghi o superiori nei confronti di un individuo, consistente per lo più in piccoli atti quotidiani di emarginazione sociale, violenza psicologica o sabotaggio professionale, ma che può spingersi fino all’aggressione fisica”. Ma per capire la realtà di questo fenomeno criminale, occorre leggere le testimonianze rese dalle vittime e i conseguenti danni “esistenziali” ormai ben illustrati da psicologi, sociologi e giuristi negli appositi siti tematici, a cui si rimanda. Mi sorge il sospetto che la parola mobbing sia stata coniata al solo scopo di evitare di etichettare quali comuni delinquenti, tutta la massa di “persone rispettabili” che, abusando del loro potere, distruggono la vita di uno o più lavoratori; per distruggere una vita non serve un cadavere, ma il mobbing è, anche, una “istigazione” al suicidio!

    Ho accennato ad un contesto verosimilmente mafioso: tenterò di dimostrarlo. Prendiamo il caso del “pizzo” richiesto dalla mafia. Chi vuole lavorare “tranquillo” deve pagarlo e i mafiosi, per far cedere il negoziante alla loro prepotenza, porranno in essere nei suoi confronti una violenza psicologica, ammantata da tutti i crismi della legalità. Prima di passare ad azioni “eclatanti”, che attirerebbero l’azione delle Forze dell’Ordine, lo faranno sentire costantemente controllato, spiato, gli faranno ricevere telefonate anonime, “sorprese” sgradite, che finiranno per sfibrarlo al punto tale che il commerciante “impaurito” dovrà scegliere se cedere al pagamento del pizzo pur di avere una vita tranquilla o sbaraccare e trasferirsi in altra città o resistere privo della solidarietà degli altri, che invece pagano.

    Ma qualunque decisione pigli, il suo “tempo” trascorso con il timore di un attentato non è vissuto con uno stato d’animo analogo a quello di chi ha paura di un licenziamento, se osa reagire ad ogni forma di abuso di ufficio? Il timore di essere isolato, emarginato, demansionato, deriso, umiliato, svuotato da ogni competenza, reso inutile, la consapevolezza del proprio senso di impotenza, la “paura” delle conseguenze derivanti dalla rivendicazione dei propri diritti non finiscono col rendere gli uomini schiavi dei loro aguzzini? La sofferenza nascente da condizioni di vita disumane, imposte da chi vuole piegare i suoi simili alla propria volontà, è identica sia nel caso di mobbing, che in quello del ricatto nel pagamento del “pizzo”.  Trattasi sempre di violenza psicologica, tortura psicologica. Ma il prezzo che paga chi rifiuta di assoggettarsi alla logica mafiosa ossia il dipendente che va controcorrente solo perché non è disponibile a diventare uno “yes-man” non è la morte fisica. Contro di lui saranno utilizzate armi più sofisticate, che non lasciano cadaveri, ma che tendono ad annientarlo interiormente: le armi psicologiche, che mirano alla sua “morte civile”!!!.

    Soprusi, prepotenze, violenze psicologiche sono le prime armi della mafia, che sa di poter contare su silenzi omertosi nascenti da complicità o da vigliaccheria: non sarebbe necessario, quindi, il “morto” per incriminare tutti quei delinquenti che hanno scelto un tipo di vita, che prevede l’azzeramento di quella differenza che distingue un uomo da un animale.

    Allora quando tali “armi silenziose” vengono usate in un’azienda, mi sembra corretto dire che in quella azienda c’è mafia e mafioso è chi adotta il metodo della violenza psicologica ai danni di un soggetto più debole pur di raggiungere i suoi fini. Se mafioso è il “picciotto” che si limita a chiedere il pizzo perché previsto dall’organizzazione criminale cui si è integrato, mafioso è anche colui che pone in essere un’azione mobbizzante perché consentita dall’occulto e criminoso sistema aziendale, nel quale peraltro si sente integrato. Nessuno dei due ha utilizzato una pistola per raggiungere il suo obbiettivo, ma sia il picciotto sia il mobber hanno contribuito con il loro comportamento al massacro di un essere umano. Un tempo la parola mafia veniva sussurrata e molti ne disconoscevano la sua stessa esistenza, non capendone il suo significato. Per emergere il fenomeno nella sua drammaticità la storia ha dovuto registrare tante vittime; lo stesso sta avvenendo col fenomeno del mobbing.

    Impostato in questi termini diventa possibile dare una risposta soddisfacente alla sete di giustizia della moltitudine di mobbizzati oggi esistenti. Gli studiosi del fenomeno hanno, ormai, ben inquadrato la dinamica e le conseguenze del “calvario” subito da tanti lavoratori, ma, ad oggi, non sono ancora stati individuati gli strumenti legislativi necessari per fare giustizia.

    Attualmente è previsto solo un indennizzo economico pagato dall’azienda (persona giuridica); ma i veri colpevoli (persone fisiche) non “pagano” per le loro colpe, né economicamente, né penalmente e pertanto, nonostante la sentenza di condanna per mobbing, rimangono liberi di continuare ad adottare nei confronti del mobbizzato ogni forma di tecnica persecutoria. Il mobbizzato riceverà solo dei soldi quale risarcimento di un “passato” distrutto, ma il suo “presente” e il suo “futuro” continueranno ad essere una prosecuzione del suo passato d’inferno!

    Laddove emergono casi di mobbing solo un lavoro certosino delle Autorità Investigative potrà far emergere il peso di tutte le responsabilità dei vari soggetti, che hanno contribuito con il loro agire o “non agire” alla distruzione della vita di un essere umano. Per estirpare questo fenomeno dalla società in cui viviamo non serve la sola prevenzione, poiché qua ci troviamo dinanzi a comportamenti posti in essere da chi si è già venduto la sua coscienza per non dover provare il rimorso di aver contribuito, con la sua azione o il suo silenzio, al massacro di un collega.

    Il mobber, divenuto siffatto essere umano, ritiene di non aver fatto nulla di grave, non ha sensi di colpa, crede di operare nell’interesse aziendale, non prova minimamente ad immedesimarsi nella vittima dell’azione persecutoria. Le regole aziendali prevedono certi “comportamenti” che nessuno ha mai sanzionato; fanno parte del gioco. Ha fatto la sua scelta: “mors tua, vita mea”. E chi tace o è connivente o si sente giustificato dalla paura di ritorsioni.

    Chi ha messo un bavaglio alla propria coscienza ha dimenticato che ogni regola fissata dagli uomini dovrebbe sempre sottostare all’etica fissata dalla voce della propria “coscienza”; la quale impedisce di calpestare la dignità di un proprio simile e grida dinanzi ad ogni forma di ingiustizia, richiamando l’uomo nel suo percorso naturale di essere umano per distoglierlo da quel sentiero che lo potrebbe portare allo stato di animale.

    Nelle aziende ove l’etica della mafiosità impera tramite tutti quei comportamenti che identificano il mobbing, rimanere “uomini” potendo guardare negli occhi chicchessia, senza strisciare al cospetto di nessuno, significa assistere impotenti alla distruzione della propria vita, intendendo per vita quel mondo interiore nel quale ciascuno di noi coltiva i propri desideri, sogni, ambizioni, innaffiandoli di entusiasmo e gioia di vivere, ma che, a seguito del mobbing subito, è diventato un bacino di enormi sofferenze, un grande vuoto che ha trasformato ogni impulso interiore in sete di giustizia.

    Ritengo che per fare giustizia, (in presenza di un vuoto legislativo e nell’attesa di una legge ad hoc, che sancisca la perseguibilità penale di tale tipo di reato), la magistratura giudicante, tramite un’interpretazione estensiva delle norme civilistiche, penali e costituzionali già esistenti nel panorama legislativo, potrebbe inquadrare come reato di mafia il c.d. mobbing.

    Dare l’auspicata rilevanza penale al mobbing significherebbe etichettare come delinquenti tutti coloro che, nonostante il loro “perbenismo”, hanno partecipato al massacro della vittima prescelta. Le conseguenze penali sarebbero da monito per tutti, risveglierebbero molte coscienze assopite; un puntuale e certo intervento di adeguati strumenti di repressione è il migliore strumento di prevenzione in un sistema ove si voglia far funzionare la giustizia.

    Inquadrando il mobbing come reato di mafia la vittima avrebbe, altresì, la soddisfazione di essere risarcita economicamente dai suoi stessi aguzzini, che si vedrebbero aggredito il proprio patrimonio, ivi compreso stipendio, T.F.R. Comprovata la sussistenza di una fattispecie di mobbing, il giudice competente dovrebbe automaticamente passare la pratica al Tribunale Penale per l’individuazione di tutti i responsabili. Si tenga presente, infatti, che molte volte la strategia del mobbing è articolata in modo da frammentare le responsabilità su più individui, al fine di non consentire alla vittima di poter perseguire penalmente i vari “mobbers”. Ognuno di loro assume, invero, comportamenti che potrebbero apparire leciti e insignificanti, ma che assumono rilevanza solo se considerati come un tassello di un processo devastante ai danni del mobbizzato, che può emergere solo nell’ambito di un’indagine tesa ad individuare le responsabilità dirette ed indirette di tutti coloro che hanno contribuito al massacro di un essere umano, che voleva semplicemente lavorare onestamente.

    Ma occorre anche dare alla vittima la possibilità di ricominciare a vivere. I mobbizzati si trovano in condizioni psicologiche analoghe ai sopravvissuti di un “lager”; sanno di essere soli e  impotenti, di essere considerati inutili, sono persone sfiduciate nei confronti del loro prossimo, rimasto sordo ad ogni richiesta di “aiuto”, sono esseri umani che vanno aiutati a reinserirsi in un ambiente lavorativo accogliente e stimolante, che non dia spazio a coloro che non danno alcun valore alla dignità umana. La Giustizia deve preoccuparsi di ricostruire la loro professionalità, di riqualificare la loro immagine e di riparare tutti i danni esistenziali provocati loro anche al di fuori del contesto lavorativo. I mobbizzati che reclamano giustizia hanno ferite invisibili, che potranno cicatrizzarsi solo allorquando percepiranno intorno a loro quel clima di fiducia, che impedisce di vedere nel proprio interlocutore un potenziale vessatore.

     

    Silvana Catalano

     

     

     

    • Di (---.---.---.255) 26 febbraio 2013 17:14

      posso confermare tutto quello che ho letto. però non posso raccontare al momento quello che sto passando e che si è tentato di fare nei miei confronti. Quando ci sei dentro sei veramente solo, specialmente se prendi l’iniziativa di non tacere e denunciare il fenomeno. Devi essere tu che dai forza a te stesso perchè anche persone che sono vicine a te finiscono per farti domandare se sei tu la causa dei problemi. Per quello che riesco a capire, leggendo anche molto di tante persone che hanno subito ingiustizie, o ti arrendi oppure ti consumi psicologicamente e finanziariamente. Cercheranno sempre di farti passare da elemento provocatore e disturbatore, quindi un caratteriale. Chi ti vessa è colui che ritiene sempre di agire per legge, ma di essa ne vede solo il peggio, la parte che ti può far male. Non agisce quasi mai con correttezza e buona fede. E’ il capo e a lui devi sempre inginocchiarti. 
      Chi non lo ha vissuto non può capire; come in tutte le cose. Allora bisognerebbe unirsi, avere sostegno anche da chi ti ripete di essere vicino. Quanto è vero questo? Vi sono gesti che a volte possono veramente aiutarti ma non sempre si fanno e non puoi pretendere che vengano eseguiti. Tutti, medici, legali. giornalisti, media, invitano a non rimanere nel silenzio ma se cominci a parlare sii forte perchè altrimenti ti sbranano.
      tommi

  • Di (---.---.---.58) 25 marzo 2011 14:30

    oggi....proprio oggi un altro scontro....e ho chiesto solo 3 ore si permesso....per la mia piccola che deve fare una visita dal dentista

    anche oggi

    terribile...

  • Di (---.---.---.167) 25 gennaio 2012 23:37

    Lavoro a una casa protetta per anziani.. sono una straniera, ma abbiamo subito e continuamo subire sia italiane che straniere una dopo l’altra dalla nostra responsabile del nucleo... è un inferno.. chi ci aiuta?..

  • Di (---.---.---.36) 25 maggio 2012 08:38

    Io collaboro con uno studio professionale a fattura, non ho ferie non ho malattia nè un contratto di qualsiasi genere ( lavoro subordinato mascherato dalla partita IVA). Sto subendo mobbing sistematico, L’ULTIMA è LA SCENEGGIATA PERCHè HO PINZATO DUE PAGINE ASSIEME.
    sono tutelata in questo caso, mi fornisco di registratore o mi dichiaro sconfitta e me ne vado, senza liquidazione nè disoccupazione?
    Grazie per le risposte.
    Manuela

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