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Berlusconi, Wittgenstein e una foto di La Russa

“Da dove non si può parlare, là si deve tacere”. È la traduzione letterale dell’ultima e più famosa delle proposizioni contenute nel Tractatus Logico-Philosophicus di Ludwig Wittgenstein. 

Porta il numero 7 e, contrariamente a quanto accade per le altre sei, in cui si articola il tentativo del filoso austriaco di spiegare la relazione tra linguaggio e realtà, non è ulteriormente sviluppata. Proprio questo, mentre l’apparente semplicità di quel che esprime l’ha fatta diventare proverbiale nel mondo germanico, ha fatto sì che ne siano state fornite infinite, e a volte infinitamente complicate, interpretazioni.

“Non commenterai lo spettacolo offerto, sabato, da Silvio Berlusconi” ne è, oggi, la mia.

Tacerò non solo per rispetto di fronte al declino delle facoltà di un anziano, evidentemente provato da una vita assai dispendiosa, ma proprio perché non bastano le parole per dare conto di tutto quel che ho provato nel sentire un mio antico presidente del Consiglio dire quelle cose. Mi sono trovato davanti all’ineffabile, vedendo quel suo volto quasi irriconoscibile passare sullo schermo del mio computer, e non riesco a ricostruire un percorso logico che possa dar conto di tutto quel che ha detto. “I giudici cattivi mi hanno condannato” e “allora faccio saltare il governo Monti” sono connessi da altro che una razionalità adulta; rispondono a ragioni misteriose come quelle per cui mio figlio, che allora aveva due anni, rifiutava di mangiare la pappa se, contemporaneamente, non gli si facevano vedere i, per me quasi insopportabili, Teletubbies. Va addirittura oltre, sfidando apertamente la contraddizione, va il far seguire alla premessa “Mario fa la politica voluta da quella cattivona di Angela” la considerazione “forse non conviene farlo saltare ora perché le elezioni sono vicine e, soprattutto, i mercati potrebbero prenderla molto male”. Ma come? Se Monti sta facendo tanto male, i mercati, che non sono certo controllati da Angela, dovrebbero essere strafelici di vederlo andare via. O no? Dovrebbero essere entusiasti di sapere che potremo ripagare il nostro debito semplicemente stampando i soldi che servono. Anzi, a quel punto, chi se ne frega dei mercati; avviamo le rotative e corriamo verso un luminoso futuro d’infinita prosperità. E facciamolo subito, cacciando immediatamente l’orribile Mario e i suoi tecnocratici lacchè del neo-imperialismo tedesco. No, anche in questo caso, non posso proprio dire nulla; i ragionamenti di Berlusconi avvengono su un piano superiore, oltre i limiti di quel che è per me comprensibile ed esprimibile.

“Ciò che può esser mostrato, non può essere detto”, afferma un’altra proposizione del Tractatus, la 4.1212, quasi celebre quanto la sette e che, come questa, si presta ad una moltitudine d’interpretazioni. Altri ne fanno il punto di partenza di un filone mistico che credono d’individuare dentro l’opera di Wittgenstein; esiste altro, e lo stesso filosofo lo afferma verso il finale del Tractatus, oltre quel che può essere espresso dal linguaggio; temi che, per questa ragione, non appartengono al dominio della filosofia. Altri la considerano semplicemente un’estensione al linguaggio di quel che il teorema di Gödel è per la matematica; la logica da sola non basta a stabilire definitivamente la verità o falsità di una proposizione e questo giudizio può essere espresso solo confrontandola con la realtà. Io so che non riesco a descrivere la piaggeria mostrata nei confronti di Berlusconi da alcuni dei giornalisti presenti alla sua esternazione. Non so come rendere, la risatina corale con cui hanno accolto l’indescrivibile, appunto, “dica al dottor Vespa che sono disponibile”, che il già Unto dal Signore deve aver rivolto ad un collaboratore del neo più famoso d’Italia. Non capisco come abbiano fatto a non batter loro ciglio quando Berlusconi, accusando Merkel e Sarkozy, con quei loro sorrisetti, di aver attentato alla sua “credibilità internazionale”, come se di questa a quel punto ne fosse rimasta traccia, avrebbe dovuto farli piangere dalle risate.

So anche, d’altra parte, che per quanto grande sia l’abilità di Berlusconi come comunicatore, per quante televisioni e giornali possa possedere, e giornalisti avere sul proprio libri paga, alla fine tutto quel che dice e dirà dovrà confrontarsi con la realtà di un paese che per un ventennio ha allegramente condotto verso la rovina. Un’Italia che ha lasciato, quando un anno fa ha dato le dimissioni da presidente del Consiglio, in condizioni che non possono essere dette; in un tale sfacelo da sfidare, con tutte le sue sfumature, i limiti del linguaggio. Un marasma in cui l’unica certezza era rappresentata dall’ottuagenario Presidente della Repubblica, di cui possiamo però ricordarci, magari con l’aiuto di una foto che ritragga Berlusconi assieme ai suoi ineffabili (è decisamente la parola del giorno) ministri.

Quanto basta per mostrare, oltre quel che le parole possono dire, perché di tutto possiamo aver bisogno tranne di un loro ritorno al governo.

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