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Belgrado. La polizia russa sbarca nei Balcani occidentali

In nome della lotta internazionale al traffico di stupefacenti, di cui Albania e Kossovo rappresentano i maggiori luoghi di rifornimento europei, la Russia si affaccia a due passi dall’Unione europea.

Rilevante accordo quello siglato nell’ultima settimana a Belgrado tra Russia, Serbia, Montenegro, Macedonia e Albania in nome della comune lotta al traffico internazionale di sostanze stupefacenti che vede nel martoriato territorio del Kossovo e nella vicina Albania, i maggiori luoghi di smercio di droga di tutta la vecchia Europa.

In nome della comune lotta ai temibili clan mafiosi kossovaro-albanesi, che garantiscono il traffico di queste sostanze illecite provenienti dagli altipiani anatolici ed afgani verso l’Europa occidentale e gli Stati Uniti d’America, previa raffinazione delle stesse, Vladimir Ivanov, direttore del Servizio federale russo per il controllo sulle droghe, nei suoi colloqui con le autorità serbe si è garantito l’appoggio non solo dei Ministri degli Interni, degli Esteri e della Difesa, rispettivamente Ivica Dacic, Vuk Jeremic e Dragan Sutanovac, ma ha avuto assicurazione pure dai componenti i governi di Albania, Montenegro e Macedonia di una piena collaborazione da parte dei suddetti stati - non limitata allo scambio di informazioni, ma estesa alla possibilità accordata ai poliziotti russi - di addestrare i reparti antidroga balcanici e di operare sul territorio di questi piccoli stati siti ai confini sud-orientali dell’Unione europea.

Già da anni la dirigenza del Montenegro è direttamente accusata dalle Magistrature e dalle Polizie dell’Europa occidentale di irrimediabili compromissioni con i boss del narcotraffico che pullulano al di qua ed al di la dell’Adriatico.

A Bar, la veneziana Antivari, convivono, dedicandosi ai medesimi traffici illeciti malavitosi locali, albanesi, camorristi campani e membri della criminalità pugliese.

Lo stesso ex Primo Ministro della republichetta ex jugoslava, Milo Đukanović fu a lungo indagato in Italia per contrabbando e traffici illeciti e clandestini.

Le vicende di Kossovo ed Albania, dove i clan mafiosi controllano gran parte della vita politica nazionale, e della Serbia, nazione a cui l’Unione europea non ha ancora accordato lo status di paese candidato per gli stessi motivi, sono poi note a tutti.

In questo panorama di criminalità diffusa che ancor oggi a più di vent’anni dalla fine del comunismo attanaglia i Balcani occidentali, la Russia di Putin ha deciso di ficcare il naso pur se il fenomeno del traffico di droga attraverso Belgrado, Pristina o Tirana non concorre certo a mettere in pericolo l’ordine pubblico del grande stato slavo.

Mosca è però interessata ad esercitare almeno su questi staterelli ancora esclusi dall’Unione europea una forte influenza che contrasti l’avvenuto allargamento dell’Unione europea verso Est con la perdita, da parte dell’impero sovietico che fu, di Polonia, Romania e, soprattutto, della fedelissima Bulgaria.

Mosca è, infatti, da sempre spinta da una pulsione contraria a quella che ha caratterizzato la politica europea degli ultimi quattro lustri: mentre Bruxelles mirava a far ritornare entro la sfera d’influenza occidentale soprattutto la Mitteleuropea delimitata dall’arco carpatico, la Russia, invece, trascorso un primo decennio di sbandamento tenta ora di allargare verso Occidente la propria influenza, non avendo mai abbandonato il proprio sogno di arrivare all’Adriatico, sogno sinora naufragato nel lontano 1948 dopo i noti fatti della Venezia Giulia ed il non allineamento della Jugoslavia di Tito.

Oggi Putin e Medvedev tornano alle carica e cominciano ad assicurarsi la possibilità di schierare nei Balcani occidentali, esponenti della Polizia e dei Servizi Segreti russi.

Forse Mosca sta ricominciando ad accarezzare quel suo mai tramontato sogno adriatico. L’Occidente è avvertito.

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