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Banche e finanza: crisi, scandali e libero mercato

La manipolazione del tasso interbancario LIBOR, sulla base del quale vengono anche determinati gli interessi sui prestiti alle famiglie, i trucchi e le perdite sui derivati della JP Morgan, lo scandalo che ha coinvolto VISA e MASTERCARD sulle percentuali addebitate ai commercianti, l’inaffidabilità dei rating indicati da Moody’s, indicano quanto la Finanza e le banche possano incidere, e deteriorare, l’economia globale e soprattutto segnare i destini di lavoratori ed imprese.

Barclays, la seconda banca inglese, ha ammesso che i propri dirigenti hanno falsato e manipolato il tasso Libor dal 2005 al 2009. L’Istituto ha quindi concordato il pagamento di una sanzione di 451 milioni di dollari ed il presidente, Marcus Angius, si è dimesso dalla guida della banca inglese. Ma si è pure dimesso dalla guida della British Banker Association (Bba), il gruppo che supervisiona e pubblica quotidianamente le quotazioni degli indici Libor. Una curiosa identità tra Controllore e Controllato; specialità della quale l’Italia evidentemente non può vantare il brevetto.

Gli indici Libor sintetizzano la media dei tassi a cui un gruppo precostituito di banche dichiara di prendere in prestito fondi non garantiti sulla base di 15 scadenze diverse, fino a un massimo di 12 mesi. Al pari degli indici Euribor che sintetizzano i tassi interbancari dichiarati da un gruppo di 43 banche soprattutto europee (indice che a sua volta è finito nel mirino dell'Antitrust per il sospetto di analoghe manipolazioni). Gli indici Libor sono utilizzati per calcolare i tassi applicati su prestiti a famiglie e su contratti derivati. Secondo la Commodity Futures Trading Commission sono legati al Libor più di 800mila miliardi di dollari in titoli e prestiti, compresi 350mila miliardi in contratti swaps e 10mila in prestiti, fra cui quelli per casa e auto. Lo scandalo coinvolge altre sedici banche fra cui la Royla Bank of Scotland, la Deutsche Bank, la Lloyds Tsb e la Hsbc.

Visa, Mastercard e alcune big bank hanno raggiunto uno storico accordo extragiudiziale con circa 7 milioni di commercianti negli Stati Uniti che hanno avviato un'azione legale sulle commissioni applicate (fino a oggi sui commercianti e non sui clienti) per i pagamenti attraverso carte di credito. A seguito dell’accordo, e della definizione del contenzioso, i due principali circuiti di pagamento mondiali (Visa e Mastercard) e le altre banche coinvolte (tra cui Citigroup e Bank of America) verseranno un risarcimento da circa 7 miliardi di dollari. Si vedranno le conseguenze di una simile intesa che potranno determinare una modifica radicale del modo di pagare con le carte di credito e anche il modo di fare shopping negli Stati Uniti per un cittadino straniero.

L’ultima vicenda, in ordine di tempo, che coinvolge direttamente l’Italia, riguarda il declassamento dei titoli di stato stabilito da Moody’s. La reazione politica è stata forte ed ha interessato la stessa Unione Europea. Ma l’effetto di maggior rilievo riguarda proprio la Finanza, perché il declassamento non ha determinato alcun rilevante effetto negativo. Come dire: la Finanza non crede nemmeno a se stessa.

Evidentemente corruzione, frode, false informazioni sociali non sono certo un piatto esclusivo della "cucina” italiana. La miccia della crisi è stata accesa dal default dei c.d. mutui “subprime” e gli Istituti di Credito – vittime e carnefici della situazione – sono corse ai “ripari”: con qualsiasi mezzo. Lehman Brothers ne ha fatto le spese – e forse pagandone il giusto tributo – ma è un dato che la Federal Reserve abbia taciuto in molte altre circostanze, non ultima quella relativa allo scandalo Barclays, del quale pare fosse a conoscenza dal 2007. Il valore sociale ed economico degli illeciti è elevatissimo ed è sufficiente considerare alcuni dati che vanno ben oltre le multe, milionarie, che questi Istituti sono costretti a pagare.

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Se è vero che il Libor condiziona almeno una parte dei contratti derivati (quelli stipulati sui tassi) non si può fare a meno di notare le differenze che intercorrono sotto questo aspetto fra le diverse realtà. Una recente analisi di R&S-Mediobanca rileva infatti che la stessa Barclays, per esempio, a fine 2011 aveva in pancia derivati per 645 miliardi di euro, pari al 34,5% dell’attivo. Come lei erano esposte Ubs (34,3%), Credit Suisse (33,2%) e Rbs (35,1%), mentre Deutsche Bank sfiorava addirittura il 40 per cento. Simile il livello negli Stati Uniti, dove il problema è aggravato però dal fatto che l’intero mercato dei derivati, secondo i dati appena pubblicati dall’Office of the Comptroller of the Currency (Occ), è di fatto concentrato (93,2%) fra quattro banche: Jp Morgan, Citibank, Bank of America e Goldman Sachs.

Intesa Sanpaolo e UniCredit, invece, avevano esposizioni decisamente più contenute (rispettivamente 8,1% e 12,7%), dati confermati anche dallo spaccato a livello nazionale: i derivati delle banche italiane valgono il 10,7% del Pil del Paese, quelli delle spagnole il 15,3% a fronte di incidenze ben più elevate per Germania (38,4%), Stati Uniti (37,5%) Francia (55,3%), Regno Unito (106,2%) e soprattutto Svizzera (254,1%). I numeri riflettono ovviamente il diverso modello su cui si basano le attività delle nostre banche, più prudenziale, e in parte anche lo stretto controllo e alla «moral suasion» esercitata dalla Banca d’Italia negli ultimi anni: atteggiamenti che nel complesso hanno evitato agli istituti italiani la deriva che si è invece vista altrove nelle fasi più critiche, ma che (senza alcun paradosso) si rivelano un boomerang per il nostro sistema creditizio.

In questo desolante quadro è inutile pensare o pretendere che siano le stesse banche a pagare economicamente i loro misfatti o limitarsi ad affermare che vi è una inadeguatezza politica dei governi a gestire la situazione. Il problema è assai più profondo. Una semplice metafora può aiutare. Immaginiamo un gruppo di amici che decidono di andare a cena fuori. Gli amici, prima di entrare nel ristorante, concordano di affidare il denaro, necessario per pagare il conto, ad uno di loro. Però questi, senza dire nulla, utilizza i soldi per giocare alle slot machine e perde. Al momento di pagare il conto non vi sarà denaro sufficiente e tutti gli amici dovranno sborsare nuovamente il costo della cena o andare a lavare i piatti in cucina.

Nel portare la metafora alla realtà attuale non possiamo pensare di risolvere il problema pretendendo che sia l’amico (le banche) a dover pagare interamente il conto, perché materialmente non sarà in grado di farlo. Sarebbe certamente corretto e giusto, ma ciascuno degli amici (gli Stati) dovrà comunque provvedere al pagamento o sacrificarsi andando a lavare i piatti in cucina. La tragedia, nel mondo reale, è nel fatto che gli Stati “siamo noi” e la cena non è un lusso o un extra, ma quanto necessario alla sopravvivenza. Una sopravvivenza dignitosa. Non di rado, poi, l’amico al quale abbiamo affidato i soldi per la cena e pure socio dell’oste (i mercati finanziari) ed accade (come nel caso della Barclays) che siano proprio loro a decidere il prezzo delle “portate”. Occorre quindi ragione in prospettiva, comprendere quali siano gli strumenti per evitare nel futuro che il nostro amico possa giocarsi tutti i soldi in un casinò.

Innanzitutto dovrà essere maggiore il “controllo dell’attività bancaria”, rafforzando l’indipendenza delle Banche Centrali ed, eventualmente, i poteri coercitivi e sanzionatori nei confronti di quegli Istituti che non rispettano la disciplina. Il Governo americano, dopo il default della Lehman Brothers, promise “ferree regole nel mercato finanziario”. I fatti di questi giorni confermano che la promessa non è stata mantenuta o, come più probabile, non è stato possibile mantenerla in ragione della enorme forza “contrattuale” del sistema delle lobbies anglosassoni. Naturalmente maggiore “controllo” significa, anche, una precisa azione nei confronti della Governance degli Istituti di Credito finalizzata a prevenire operazioni di puro rischio o manipolazione di dati.

Ma l’attività di controllo – sicuramente indispensabile – non è sufficiente. E’ pure necessario porre dei precisi limiti all'acquisizione di quote, alla proprietà ed alla partecipazione: nel pieno rispetto della concorrenza e per evitare conflitti di interesse o, peggio, concorso di interessi contrapposti. Il peggior disastro ereditato dal liberismo thatcheriano (scrupolosamente applicato dal Governo Reagan) è costituito dall’assenza di ogni controllo nel rapporto tra banche d’affari e finanza e, quindi, tra mercato finanziario e banche di “raccolta di risparmio e di credito”. Un buco nero ove ognuno ha pensato di poter operare “come voleva” e senza conseguenze; un buco nero dal quale oggi emergono derivati tossici, manipolazioni dei tassi, inquinamento del Mercato azionario

Si tratta di lobby etero dirette – almeno nella fase della preparazione ed “invenzione” di simili operazioni finanziarie ed azionarie – dalle grandi law firm anglosassoni spesso “incaricate” dello studio di interventi che giuridicamente corrono su una sottile linea di divisione tra ciò che è lecito o illecito. Lo stesso JP Morgan ebbe a chiarire la natura di un rapporto, almeno, ambiguo con i professionisti: non mi interessa un avvocato che mi racconti cosa non posso fare; voglio un avvocato che mi dica come fare ciò che non posso. Una non confortante aneddotica. Ed in effetti lo scandalo Barclays ha messo in moto avvocati e consulenti inglesi ed americani così da generare una vera e propria “crescita” del settore legale.

Lo studio inglese Clifford Chance assiste sia Barclays che l'altra indagata Royal Bank of Scotland nell'ambito dell'inchiesta avviata dalle authority inglesi e americane. Per salvare le apparenze i soci della prestigiosa law firm avrebbero eretto precisi confini tra i due team per evitare possibili conflitti di interesse. Clifford ha ricevuto il mandato insieme allo studio americano Sullivan & Cromwell, che aveva seguito Barclays nel procedimento statunitense. Gli avvocati hanno assistito la banca nella negoziazione della multa inflitta in Inghilterra, pari a 59.5 miliardi di sterline, mettendo a disposizione dei clienti professionisti specializzati in banking, diritto commerciale e ''White collar crimes''. Altri studi legali, come recentemente emerso sul Sole 24 ore, stanno anche seguendo i clienti e competitor danneggiati dalla manipolazione, sia banche che aziende. La maggior parte delle law firm si prepara ad assorbire una fetta della mole di lavoro. L'americano Gibson Dunn & Crutcher sta lavorando con UBS, Simpson Thacher & Bartlett con JP Morgan e Paul Weiss Rifkind Wharton & Harrison per Deutsche Bank. Ancora, Davis Polk & Wardwell ha ricevuto il mandato da Bank of America Merrill Lynch, Shearman & Sterling da Credit Suisse e Hogan Lovells per HBOS, un altro dei clienti della banca.

Una sfera di privilegi, di interessi, di particolarismi, dove questo genere di potere si replica, con le dovute proporzioni, in ogni componente del tessuto sociale: la classe politica, la classe istituzionale, la classe dirigenziale, la classe imprenditoriale permeando ogni strato ed ogni condizione. Quasi fossimo tornati al Settecento inglese, quando il sistema politico, economico e sociale si era guadagnato l’epiteto di ‘Old Corruption’.

Maurizio Vecchio

 

 

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