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Aria ai denti: le reazioni della politica e del web alla sparatoria davanti a palazzo Chigi

Ci penseranno i giudici a stabilire le ragioni che hanno indotto il 49 enne Luigi Preiti, di Rosarno Calabro, ad andarsene con una pistola in tasca fino a palazzo Chigi. Sempre i giudici capiranno perché abbia poi sparato, ferendo gravemente il brigadiere Casagrande e il carabiniere scelto Negri.

Quel che non può che riempirci di disgusto è vedere come da più parti si stia strumentalizzando anche questa tragedia. In particolare, vedendo da che pulpito provengano, lasciano sconcertati le dichiarazioni di un trio di anime belle, e ovviamente pacifiste, di quella che un tempo era la nostra estrema destra. “Quando per mesi e mesi si inveisce contro il Palazzo”, ha detto il sindaco di Roma Gianni Alemanno, che durante la sua selvaggia gioventù contro il palazzo non si limitava certo ad inveire, “ poi qualche pazzo esce fuori". Maurizio Gasparri, un altro notorio gandhiano dei tempi belli , ha chiosato: “Gli squilibrati sono tanti. Non tutti con la pistola per fortuna. Ma chi semina odio alimenta tempeste incoraggia gesti di pazzi. Sono troppi gli squilibrati che stanno causando un clima di violenza". Concetti simili a quelli espressi da Ignazio La Russa, che ha pure precisato come il centrodestra non si sia mai accodato alla “predicazione dell'odio e dell'abbattimento dell'avversario” che “può portare le persone psicologicamente predisposte all'uso criminale della violenza”.

Di che sorridere amaramente, pensando che di quel centro destra ha sempre fatto parte Umberto Bossi, con le sue minacciate secessioni a forza di pallottole e Kalashnikov, e che, quando a delegittimazione degli avversari, nessuno ha fatto più di Silvio Berlusconi, capace di descriverli, senza alcuna ironia, come orridi komunisti, antropologicamente diversi e, semplicemente, “coglioni”.

Ricordato come vi si sia arrivati, senza dimenticare il contributo di programmi televisivi d’informazione urlati, all’insegna della rissa continua, resta che la nostra politica abbia adottato, ormai da troppo tempo, toni esagerati e lontani dagli usi di qualunque paese civile.

Toni come quelli di Beppe Grillo, per capirci. Ribadisce, ora, la vocazione non violenta del suo movimento? Benissimo, ma non è con i vaffanculo che si fa politica nel resto d’Europa. Se le parole sono pietre, lui ed i suoi continuano a scagliare macigni. Toni come quelli usati da Vendola (non finisce mai di deludermi) che, commentando l’accaduto, ha pensato bene di anticipare le strumentalizzazioni degli avversari con la propria, parlando apertamente di “regime inciucista”. Un regime con metà del quale si è presentato alle elezioni e con cui, senza senso del ridicolo e rispetto per il significato delle parole, ovviamente collabora in quanto governatore (forse, secondo lui, dovremmo dire gauleiter o federale) della Puglia.

Toni che ritroviamo in Rete, ancora più esasperati, negli interventi di migliaia di masanielli della tastiera. Righe e pagine di spropositi, spesso senza senso e quasi sempre senza grammatica, magari lasciate da chi ha contribuito fino ad ieri al dissesto economico del paese, che non hanno altro scopo che quello di ottenere il plauso di altri rivoluzionari da salotto. Gocce. Insignificanti da sole, ma che tutte insieme fanno un temporale, presagio di disastri assai peggiori; che comunicano la sensazione, angosciante anche se non del tutto reale, di un paese sul punto di esplodere: l’esatto contrario di quello di cui avremmo bisogno in un momento tra i più difficili della nostra giovane storia democratica.

Intendiamoci; non credo nei cattivi maestri. Credo, anzi, che le responsabilità siano sempre individuali e che, in una democrazia, la libertà d’espressione debba essere pressoché assoluta. Libertà che, pero, sempre si accompagna alla responsabilità; non certo quella stabilita dalle leggi, ma quella che abbiamo, uno per uno, davanti alle scelte che ci definiscono, tanto come individui quanto come comunità nazionale. Cittadini che reclamano diritti o plebe rivoltosa che esige elargizioni? Cosa vogliamo essere lo dimostriamo, prima che altrimenti, con i modi ed il linguaggio in cui scegliamo di esprimerci. Gli stessi che, di certi nostri politicanti, aspiranti ducetti, capipopolo o vanesi della parola, dovrebbero già averci detto tutto.

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