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Appalti truccati e Giustizia. E la Politica dorme

Ripubblico, rivista e corretta, questa nota sul fenomeno degli appalti truccati in Italia e sui (non) rimedi posti in essere dallo Stato, il principale danneggiato, per contrastare il fenomeno.

Invito vivamente i pazienti lettori a inserire i propri commenti e osservazioni per aiutarmi a capire meglio se può esistere una, sia pure remota, possibilità che nel nostro paese possano operare imprenditori che puntano sulla capacità e sull’innovazione anzichè sulle scorciatoie offerte dai funzionari e dai politici corrotti.

Il ricorso all’illecito amministrativo nelle procedure d’appalto è una prassi ormai considerata come un male necessario. Necessario per «far girare l’economia», si dice. Una banale ricerca nel sito della Giustizia Amministrativa delle parole «illecito» ed «illegittimo» restituisce oltre 100.000 sentenze in cui si parla di questi fenomeni. Segno che i Tribunali Amministrativi lavorano molto in una materia che per le gravi ripercussioni nella vita delle imprese merita un minimo di analisi.

Un primo aspetto riguarda il tempo necessario in un ricorso per l’ottenimento della sentenza definitiva, il secondo al fatto che grande parte delle irregolarità non arriva neppure al vaglio del Giudice. L’istituzione del contributo unificato, una tassa che cresce col valore della causa, se è utile per sfoltire il contenzioso dalle cause temerarie, induce molti imprenditori, visti i tempi lunghi e i magri risarcimenti, a lasciar correre ed evitare le liti con le amministrazioni, sperando in future commesse. Non va trascurato il fatto che le spese di causa sono a carico dell’impresa, mentre gli amministratori ed i funzionari ovviamente le imputano al bilancio dell’Ente. Elevati costi di causa, tempi biblici e risarcimenti incerti sono purtroppo elementi dissuasivi che falsano la dimensione reale del fenomeno e distorcono il rapporto con la Giustizia dell’imprenditore corretto e proprio su questi fanno leva coloro che disapplicano le regole negli appalti confidando sulla sostanziale impunità. Anche il regime di leale concorrenza su cui si dovrebbe fondare il mercato subisce i negativi effetti di questa vera e propria degenerazione del modus agendi degli operatori economici. Fare acquisti, per una Pubblica Amministrazione sempre più compressa nelle risorse disponibili, è diventata una vera e propria «impresa». 

L’evoluzione tecnologica ha diminuito le competenze dei funzionari pubblici nella predisposizione di capitolati tecnici che si vedono costretti a rivolgersi a consulenti, quando non direttamente ai produttori che, logicamente, ragionando pro-domo, forniscono specifiche tecniche che «blindano» i percorsi di gara, instradando i giudizi delle commissioni esaminatrici entro limiti predeterminati. Ecco che la gara d’appalto si trasforma in un mero adempimento formale, magari rispettoso della procedura, difficilmente attaccabile nel merito, materia nella quale il Giudice Amministrativo ha scarsi poteri di riparazione.

Basta citare, ad esempio, le insufficienti norme che individuano e sanzionano le offerte riconducibili ad un unico centro decisionale - i cosiddetti cartelli o pseudo tali - per constatare l’impossibilità di contrastare gli espedienti, sempre più sofisticati, ai quali si ricorre per sconfiggere la concorrenza.

L’eventuale contestazione potrebbe solo trovare strada presso il Tribunale Penale e qui la sete di Giustizia si trova davanti ad una sorgente arida. Tra i reati da perseguire vi è il 323 C.P. cioè l’abuso d’ufficio e, come mi disse un autorevole Procuratore della Repubblica, si tratta di una figura giuridica dallo «scheletro vuoto». Se non si trovano le prove dello scambio di danari o favori, quindi concussione o corruzione, l’abuso d’ufficio è un reato per lo più indimostrabile, non tanto perché il libero convincimento del funzionario pubblico o del Commissario di Gara è un istituto - a volte esageratamente - tutelato dalla prassi, ma perché la dottrina richiede la prova dell’elemento soggettivo, cioè la condizione che dimostra l’intenzionalità dell’agente.

Ovvero: è necessario dimostrare, ad esempio, che chi ha predisposto un Capitolato d’Appalto congegnato in modo da favorire un concorrente lo ha fatto davvero con l’intenzione di favorirlo.

Sì, avete letto bene.
Ciò che appare pacifico al buon senso comune, per la nostra Giustizia non lo è affatto.

Per incriminare il funzionario scorretto bisogna dimostrare che la norma di gara è stata artatamente configurata con la precisa consapevole intenzione di far conseguire all’impresa “suggeritrice” un ingiusto vantaggio patrimoniale. Da notare che se non si trova la prova della dazione di danaro l’impresa beneficiaria è preservata indenne da qualunque sanzione.

Si tratta di prove impossibili da acquisire poichè le ultime riforme del codice penale hanno vietato le intercettazioni e le indagini bancarie e patrimoniali per tutti i reati con pena edittale (la massima prevista) inferiore a cinque anni.



L’abuso d’ufficio e la turbativa d’asta hanno pene che non superano i 3 anni.
Inoltre il Tribunale Penale è scarsamente attrezzato a seguire troppi procedimenti che, se non presentano delitti eclatanti che hanno eco nei media - come il caso dei decessi per l’impianto di valvole cardiache difettose - si arenano spesso nella prescrizione.

Il rispetto di regole fondamentali come trasparenza e par condicio è diventato, di fatto, un optional in nome della prassi che pone l’aggiudicazione come obiettivo esiziale col solo alibi, quando va bene, della sopravvivenza dell’azienda. I negativi effetti di questa distorta gestione delle pubbliche forniture si concretizzano in acquisti di beni spesso inutili o sottoutilizzati, di qualità scadente o non conformi agli effettivi bisogni. Spesso è la necessità di piazzare un prodotto, più che l’ effettiva esigenza che genera l’appalto.

Il quadro qui descritto è molto, molto, più diffuso di quanto si creda e l’avvento di Tangentopoli, se intesa come azione giudiziaria repressiva, non ha punto debellato il fenomeno che ha ripreso il suo inesorabile procedere solo con forme un più astute e ramificate. Il fatto di aver tolto di mezzo i politici dalle commissioni di gara, perché giudicati disonesti a priori, ha dato maggior potere ai dirigenti, non sempre integerrimi, che non trovano ostacoli nel perseguire obiettivi che, talvolta, nemmeno coincidono con l’interesse pubblico.

I possibili rimedi? Posto che fare appello all’onestà risulterebbe, oltre che offensivo per coloro che si comportano correttamente, del tutto vano per i malfattori, la responsabilità di un intervento risanatore è, purtroppo, ancora nella politica. Innanzitutto è necessario superare l’ipocrisia dell’obbligatorietà della gara laddove si configura come adempimento formale, se il bene da acquisire è stato individuato univocamente.

Un fattore di modernità è l’uso preventivo della ricerca di mercato, che una volta esperita consente di procedere all’ acquisto senza defatiganti gare del tutto inutili, quando il vincitore è noto in partenza. 

C’è l’esigenza di un organismo su base locale abilitato ad una «certificazione preventiva» dei capitolati di gara, che li sterilizzi da norme cervellotiche o prescrizioni tecniche «pilotate». Dopo questo vaglio chi prosegue nella turbativa deve essere sanzionato dallo stesso Ente d’appartenenza. L’estromissione da successive procedure di gara per i funzionari che tralignano, appare affatto scontata ed anche l’imprenditore colto in fallo deve essere immediatamente estromesso per un congruo periodo dalla partecipazione alle gare.

Invece, le segnalazioni all’Autority sugli appalti hanno efficacia, se ce l’hanno, mesi o anni dopo i fatti denunciati e le decisioni sanzionatorie possono essere congelate con ulteriori impugnazioni che ritardano sine die il momento dell’applicazione.

Uno stesso organismo di certificazione delle procedure di gara dovrebbe fungere da Camera di Conciliazione di merito delle liti amministrative, rinviando al Tar ed al Consiglio di Stato solo i casi giurisprudenziali. L’accelerazione del contenzioso oltre ad essere un deterrente, rende più fluido il corso della spesa per le opere pubbliche, che a volte restano bloccate per anni da ricorsi e controricorsi.

Infine una nota di realismo: l’illegittimità amministrativa, senza illecito, è una circostanza piuttosto rara: spesso si accompagna all’illecito, quando non ne è la conseguenza diretta e solo un’intelligence attrezzata e competente in grado di accertare scientificamente gli strumenti sofisticati con i quali gli operatori senza scrupoli ottengono appalti e commesse.

Si tratta di condotte illecite che la politica sottovaluta colpevolmente poiché questi sono, gravi reati perché lesivi dei rapporti economici e fiduciari su cui si fonda la comunità civile.

Purtroppo, oltre alle molte chiacchiere nei salotti televisivi, il problema non interessa, seriamente, tanto a destra come a sinistra, nessuno.

Ne è una prova è la soppressione da parte del Governo dell’Alto Commissariato contro la corruzione nella P.A. avvenuta con l’indifferenza di tutta l’opposizione. 

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