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Amnesty International: sentenza Diaz tardiva e incompleta

Per Amnesty International la sentenza emessa dalla Corte di Cassazione su quanto accaduto alla scuola Diaz di Genova nel luglio 2001 è una sentenza importante ma che è arrivata tardi e con pene che non sono in linea con la gravità dei crimini accertati.

In un comunicato infatti Amnesty International ha considerato la sentenza in questione “una sentenza importante, che finalmente e definitivamente, anche se molto tardi, riconosce che agenti e funzionari dello stato si resero colpevoli di gravi violazioni dei diritti umani di persone che avrebbero dovuto proteggere”.

Ma Amnesty ha anche ricordato che “i fallimenti e le omissioni dello Stato nel rendere pienamente giustizia alle vittime delle violenze del G8 di Genova sono di tale entità che queste condanne lasciano comunque l'amaro in bocca: arrivano tardi, con pene che non riflettono la gravità dei crimini accertati - e che in buona parte non verranno eseguite a causa della prescrizione - e a seguito di attività investigative difficili ed ostacolate da agenti e dirigenti di polizia che avrebbero dovuto sentire il dovere di contribuire all'accertamento di fatti tanto gravi.

Soprattutto, queste condanne coinvolgono un numero molto piccolo di coloro che parteciparono alle violenze ed alle attività criminali volte a nascondere i reati compiuti”.

E per Amnesty International, la conclusione di questo processo non può rappresentare la fine del tentativo di dare piena giustizia alle vittime del G8 di Genova.

Terminata la fase degli accertamenti delle responsabilità individuali, resta infatti tutta da realizzare un'analisi che porti a conclusioni condivise su cosa non funzionò a Genova nel 2001 a livello di sistema e su come fare in modo che ciò non si ripeta più.

E Amnesty International a tale proposito coglie l’occasione per formulare di nuovo alle istituzioni italiane alcune precise richieste:

  • condannare pubblicamente le violazioni dei diritti umani commesse dalle forze di polizia 11 anni fa e fornire scuse alle vittime;
  • impegnarsi ad assicurare che violazioni quali quelle accadute a Genova nel 2001 non si verifichino di nuovo attraverso l'attuazione di misure concrete per garantire l'accertamento delle responsabilità per tutte le violazioni dei diritti umani commesse dalle forze di polizia;
  • introdurre nel codice penale il reato di tortura e adottare una definizione di tortura che includa tutte le caratteristiche descritte nell'articolo 1 della Convenzione Onu contro la tortura;
  • creare un'istituzione nazionale sui diritti umani in linea coi “Principi riguardanti lo statuto delle istituzioni nazionali” (Principi di Parigi);
  • ratificare il Protocollo opzionale alla Convenzione Onu contro la tortura e istituire un meccanismo indipendente nazionale per prevenire torture e maltrattamenti;
  • condurre una revisione approfondita delle disposizioni in vigore nelle operazioni di ordine pubblico, incluse quelle in materia di addestramento e dispiegamento delle forze di polizia impiegate nelle manifestazioni, di uso della forza e delle armi da fuoco e che tenga conto della necessità di introdurre elementi di identificazione individuale degli appartenenti alle forze di polizia nelle operazioni di ordine pubblico.

Io condivido il giudizio di Amnesty International sulla sentenza della Corte di Cassazione riguardo quanto avvenuto a Genova, nella scuola Diaz, nel 2001. E sono altrettanto condivisibili le richieste che l’associazione per i diritti umani rivolge soprattutto al Governo italiano. Sarebbe necessario pertanto che il Governo Monti fornisca, nel più breve tempo possibile, delle risposte a tali richieste, accogliendole. Non sono sufficienti le scuse del capo della polizia Manganelli, peraltro tardive anch’esse. E sarebbe inoltre opportuno che Gianni De Gennaro, attualmente sottosegretario del Governo Monti, seppure prosciolto nei processi che si sono tenuti relativamente alle vicende di Genova ma in un modo che ha suscitato molte perplessità, si dimettesse dall’attuale incarico o quanto meno fosse invitato a dimettersi.

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