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American Ground

Già dalle prime, cesellatissime pagine, il secondo libro di William Langewiesche pubblicato in Italia (il primo, “Lo schianto dell’EgyptAir 990”, l’ha mandato in libreria Arcanapop l’anno scorso) si comprende il motivo che ha spinto Adelphi a mettere sul piatto un sostanzioso assegno per l’acquisto dei diritti dei tre reportage, pubblicati originariamente su "The Atlantic Monthly", che compongono uno dei più importanti testi finora pubblicati intorno al fatidico 11 settembre 2001. Langewiesche, inviato speciale del mensile americano, è stato l’unico cronista al mondo autorizzato all’ingresso in Ground Zero – che qui viene ribattezzato, molto più correttamente, Cumulo, indicando in questo scarto semantico dalla vulgata mediatica di Ground Zero un’attenzione alle parole e un amore per la scrittura che diventa uno dei tratti più immediatamente riconoscibili del libro. Per sei mesi, sette giorni a settimana, il giornalista americano (ex pilota professionista, e per questo ancora più incisivo e insuperabile nei racconti d’aria e d’aerei) ha percorso i “sei ettari del Cumulo (…) dalla complessa topografia, piena di strani crateri, caverne, dirupi pericolanti” che eruttavano dal tessuto ferito a morte della Lower Manhattan. Ne è venuto fuori un libro profondamente morale nella sua assoluta obiettività di sguardo, tradotta in una scrittura a tratti gelida (si provi a leggere l’attacco e a confrontarlo mentalmente con le centinaia di articoli, saggi e servizi tv sullo stesso argomento: “Le Torri Gemelle del World Trade Center sono crollate l’11 settembre 2001. Quel mattino il cielo era sereno e la temperatura mite. Gli abitanti dei diversi quartieri di New York hanno avvertito il fragore del crollo, a seconda dei casi, come un ruggito, un brontolio, o un tuono in lontananza”). Ma American Ground è anche un libro dall’altissimo contenuto informativo, zeppo di notazioni tecniche, valutazioni ingegneristiche, scenari virtuali valutati applicando complicati modelli fisici e matematici che, codificati in parole comprensibili ai più, spesso significavano solo altre catastrofi, altri morti e altro sfacelo – si vedano le pagine dedicate ai possibili cedimenti delle gallerie di ghisa che bucavano i sotterranei delle Torri e che servivano come linea ferroviaria della Port Authority Trans-Hudson, o anche la notizia che l’incendio delle Torri, e i successivi crolli da questo causati, è stato alimentato non dal carburante contenuto nei serbatoi dei due aerei, ma dall’ingente quantità di carta presente negli uffici e negli archivi del Trade Center: una morte burocratica, insomma, s’è portata via migliaia di vite, e nessuno ce l’aveva detto. Accolto in patria da numerosi riconoscimenti ma anche da feroci critiche, spesso sfociate in veri e propri atti censori (come la campagna denigratoria lanciata dal Living History Project, gruppo di protesta formato da civili volontari che hanno prestato servizio al cantiere e si sono schierati con i pompieri del Fire Department, le cui imprese - soprattutto nel terzo reportage dedicato alle lotte di potere tra vigili del fuoco, poliziotti e imprese edili - sono tratteggiate con giustapposizioni di fatti e dati che rendono le figure degli “eroi” delle Torri Gemelle assai più stropicciate, ma decisamente più oneste e umane, rispetto alle vere e proprie agiografie mediatiche che hanno gonfiato i televisori di un’intera nazione) American Ground è una minuziosa radiografia di un Paese umiliato e offeso, un documento rigoroso che rispetta la complessità dei fatti dell’11 settembre, però scomponendo allo stesso tempo in emozioni semplici e sintatticamente svelte un nucleo di dolore, stupore e rabbia che attraversa le facce smarrite di uomini e donne scaraventati loro malgrado in un’Apocalisse Moderna in una mattina di settembre.

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