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Alle parole non seguono i fatti

di Pietro Nardiello 

All’indomani dell’assassinio di don Peppino Diana, il parroco di Casal di Principe, quando non si conoscevano ancora le motivazioni dell’eccidio, Nicola Alfiero scriveva sulla storica rivista “Zazà”, edita da Tullio Pironti,che la solidarietà espressa da chiesa e istituzioni altro non era che un’azione di circostanza che non aveva prodotto nessun progetto di intervento, nessun programma, nessun piano d’azione”.

Anche il polo progressista, sempre secondo Alfiero, aveva utilizzato la morte di don Peppino per legittimarsi e vincere le elezioni. “In zona poi - concludeva l’autore - la lotta alla camorra rappresentava, spesso, solamente un impegno per un ritorno elettorale ma non di qualcosa di radicato e continuato”.

Negli anni successivi sarebbe stata una parte della società civile a costituire un avamposto con il quale avrebbe provato a radicarsi nella vita quotidiana per cercare di dare e ottenere quelle risposte che Alfiero pretendeva, giustamente, da Chiesa e Politica.

Il 18 marzo del 2009, alla vigilia del quindicesimo anniversario dell’assassinio di don Peppino, che ha visto intervenire a Casale oltre ventimila persone per commemorarlo, la politica sembrava volesse iniziare a scrivere una nuova pagina per questa terra. Ben diciotto sindaci dell’Agro Aversano, ai quali si aggiunsero quelli di Pignataro, Pastorano e Castel Volturno sottoscrissero un protocollo per raggiungere tre impegni concreti tra i quali quello di costituirsi parte civile nei processi contro la camorra.

L’impegno, che venne assunto alla presenza del vescovo di Aversa monsignor Mario Milani, dei genitori di don Peppe e di don Luigi Ciotti il presidente dell’associazione Libera, e che riscosse un grande ritorno mediatico venne considerato dai giornalisti inviati “un evento storico, inimmaginabile e improponibile fino a pochi anni fa”.

In questi giorni è in corso presso il tribunale di S. Maria C.V. il processo ai vertici del clan Lubrano-Ligato, legato per parentela e affari ai Nuvoletta e alla mafia siciliana, messi alla sbarra a seguito dell’operazione “Caleno” del febbraio dello scorso anno.

Si tratta di un importante clan operante nel comune di Pignataro Maggiore e in tutto l’agro caleno che in passato ha eseguito e deciso la morte di tante vittime innocenti come Franco Imposimato, Salvatore Nuvoletta e Giancarlo Siani.

A costituirsi parte civile, però, solamente il giornalista Enzo Palmesano, da tempo sotto il mirino del clan, e nessun altro, nemmeno l’amministrazione comunale di Pignataro, guidata dal sindaco del PDL Giorgio Magliocca, che non rispettando il protocollo sottoscritto ha perso anche un’occasione dall’alto valore simbolico per offrire alla cittadinanza un risarcimento soprattutto morale.

Dopo oltre quindici anni ritornano d’attualità le parole di Alfiero, in quei territori ai buoni propositi non seguono i fatti con azioni radicate e continuate.

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