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Aldo Moro nella vita di ciascuno di noi

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Non ho mai avuto l'onore di incontrare l'On. Aldo Moro da vicino. Del resto il Presidente della DC ci ha lasciati quando io avevo appena 15 anni (da compiere in dicembre) e avrei dovuto aspettare ancora un po' per poterlo 'incrociare' in una eventualità. Ma non c'è stato tempo. Eppure la lontana presenza e la figura dell'esponente politico più importante di quegli anni - del decennio a cavallo tra gli anni '60 e '70 del '900 - già così travagliati ed agitati della vita e della società italiana, è sempre stata incisiva per la mia personale storia.

Il fratello di mio padre (mio zio) era uomo appartenente politicamente alla corrente democristiana che faceva capo ad Aldo Moro e lo stesso Presidente della Dc, a quanto ne sappia, si è fermato a volte a colazione a casa di mio zio, a tal punto che mio zio si definiva 'moroteo'.

Aldo Moro venne a Napoli nel gennaio del 1962, per un Congresso che voleva sancire la nascita del progetto di centrosinistra, per riunire uomini ed idee attorno quel progetto, un progetto che si ispirava alla filosofia di fondo e di partenza della stessa Dc: il codice camaldoli, la costruzione pedagogica di una società italiana giusta ed equa, equillibrata. L'isolamento del Partito Comunista, che si vuole attribuire alle intenzioni dell'on.le Aldo Moro è puro autolesionismo del Partito Comunista stesso. Nel 1962 venne in visita a Napoli anche J.F. Kenndey ed in quell'anno, come negli anni seguenti, mio zio era esponente di spicco della Dc locale. Nel 1963 fu eletto Sindaco di Napoli. Il 1963 è anche l'anno della mia nascita, a dicembre per l'esattezza. Dunque quando l'on.le Aldo Moro fu rapito nel 1978 mio zio era Presidente della Dc a Napoli ed era stato già Sindaco di Napoli.

In quel giorno lontano e fumoso del 16 marzo 1978, come tutte le mattine, alle 7.30 io scendevo di casa con mia mamma che mi lasciava davanti il portone del palazzo, all'interno di un parco privato e vigilato, e si avviava in ufficio con la sua auto mentre io aspettavo il pulmanino che di lì a qualche secondo sarebbe arrivato caricando la sua prima passeggera. Durante il tragitto, via via che salivano gli altri passeggeri, la pazienza di Don Vincenzo e della Signora Pupetta veniva messa a dura prova in un crescendo dannunziano, senza appello. Aulico. Poi a scuola gli animi si sopivano rassegnati. La mia scuola, un Istituto di Suore Salesiane, era un invidiabile fabbricato settecentesco, immenso palazzo al centro del Vomero alto, rinfrescato dallo stile degli anni della guerra ed infine del dopoguerra. Potevi passarci tutta la vita lì dentro sapendo che mai saresti riuscita a svelarne tutti i reconditi nascondigli. Le suore alcune dolcissime altre tremende, tuttavia sempre benevole. Molto educatrici, molto materne, insomma si è imparato parecchio lì dentro, e ancor di più durante i ritiri religiosi.

Quella mattina del 16 marzo 1978 l'atmosfera generale dell'Istituto era serena. Le voci stranamente sottotono, lo ricordo perch in seguito avrei fatto questo paragone, ed io stessa mi sentivo abbastanza tranquilla e per nulla turbata. Ma alle 10 circa del mattino accadde una cosa insolita. Una suorina entrò in classe, io ero distratta e guardavo fuori dalla finestra. Non è che vi fosse un gran paesaggio da ammirare. Le aule, disposte su tre piani, davano tutte sul cortile interno ma sempre uno spicchio di cielo e di sole facevano capolino, ed io ero particolarmente rapita e sognante quella mattina. Si avvicinava la primavera, avrei finalmente messo i miei calzettoni bianchi di filo preferiti e le gonne leggere con la camicina bianca (la nostra divisa estiva) e non vedevo l'ora. La suorina si avvicinò a suor Gemma, mi sembra che fosse, e le confidò trafelata qualcosa nell'orecchio. Suor Gemma si agitò e la guardò incredula, poi disse a sua volta qualcosa all'orecchio della suorina e la congedò con fare frettoloso. Verso le 11 o poco prima, non era ancora finita l'ora di lezione, la Suorina si ripresentò sempre più agitata e al suo apparire sull'uscio Suor Gemma mi chiamò: "Clemente - mi disse un po' pacata e un po' autoritaria - scendi giù, c'è tua nonna che ti aspetta, devi andare" Io non capii mi sembrava strano ma bellissimo, per la verità. Non ero disposta a far domande. Dovevo andare, così, a metà mattinata, quasi quasi ero felice. In realtà gli effetti di quella stranezza si sarebbero fatti sentire qualche tempo dopo e non sarebbero stati proprio felicissimi.

Nel vasto atrio solitario dell'Istituto, si stagliava la figura massiccia ma non eccessiva di mia nonna in pantofole. Affannata, leggermente indispettita, preoccupata. "Nonna - esclamai da lontano - che cosa succede". Passata l'euforia della variazione sul tema 'giorno di scuola' , non riuscivo proprio a pensare cosa stesse accadendo.

"Andiamo a casa Bianca" - mi disse. "Così, a piedi - chiesi - e poi perchè sei in pantofole".

Senza fiatare mi prese per un braccio e ci avviammo all'uscita. Lungo la strada mia nonna mi spiegò che a Roma avevano rapito l'on.le Aldo Moro, di cui io avevo appena sentito parlare, ma sempre con sacrale forma, e la sua scorta era stata uccisa e dunque si temevano agitazioni, oltre che per la vita dell'on.le Moro . A Napoli un gruppo di facinorosi si avviava verso la sede della DC. Capii perchè stavo tornando a casa.

In seguito, proprio attraverso la TV e parlando con mio nonno, oppure con mio zio, imparai a conoscere meglio l'on.le Aldo Moro. Ed il colpo terribile lo ricevetti, lo ricevemmo, quando l'on.le Aldo Moro fu rinvenuto cadavere all'interno della Renault rossa. Ci speravamo che si potesse fare qualcosa per salvargli la vita, a me personalmente dispiacque tantissimo.

Dopo l'assassinio dell'On.le Moro, cinicamente le nostre vite proseguirono comunque nel loro corso, lo stesso zio Nando continuò a salire nelle sue responsabilità politiche. E' stato anche Presidente della Regione Campania. Ma tutto non fu più come prima, tutto cambiava intorno a noi, inevitabilmente. 

 

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