• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Cronaca > Airbus A330: allo stato attuale delle cose

Airbus A330: allo stato attuale delle cose

Allo stato attuale delle cose, le cause dello schianto del volo 447 dell’Air France possono essere analizzate solo sulla base di semplici congetture. È impossibile parlare di missili, esplosioni o fulmini, o meglio, a questi ragionamenti si può attribuire lo stesso livello di credibilità che hanno i complottisti che ragionano di campi magnetici sulle coste brasiliane, di Ufo e Triangolo delle Bermuda.
Restano però alcuni punti fermi sulla vicenda.
 
Il primo e più importante dei quali è relativo al fatto che l’equipaggio non ha comunicato nulla al personale di terra. Dall’apparecchio è partito solo il segnale automatico, della durata di tre minuti, di “avaria generale del sistema elettrico”. Il che significa tutto e niente. È impensabile che un equipaggio addestrato e di grande esperienza come quello dell’Airbus in volo per Parigi non sia riuscito a mettere mano alle comunicazioni. Ai corsi per i piloti, gli insegnanti ripetono ossessivamente la formuletta “operate and comunicate”, operate e comunicate

Le comunicazioni non sono importanti, sono fondamentali. Provate, per curiosità, a leggere la trascrizione dei passaggi radio con la torre di controllo, e vi accorgerete della quantità impressionante di parole dette: “Sto facendo questo, sto per fare quest’altro, chiedo l’autorizzazione per X, ho ricevuto l’indicazione Y…” ecc. ecc.

Le trasvolate oceaniche, dato che sono molto lunghe, prevedono sempre la presenza di due equipaggi completi per la cabina di comando: un equipaggio “attivo”, composto dal comandante del velivolo e dal suo secondo (detto “primo ufficiale”), che si occupa delle prime e delle ultime ore di volo, e un equipaggio di crociera, composto da uno o due piloti, che sostanzialmente non fa altro che controllare il pilota automatico durante la lunga e sonnolenta traversata dell’oceano. Nel caso in cui le condizioni climatiche siano più o meno preoccupanti, il comandante ha la facoltà di scegliere se restare alla cloche e sovrintendere a tutte le operazioni.
 
A leggere le carte del tempo relative a quella zona, si capisce che di sicuro il volo si è trovato in una situazione di turbolenza. Che, nell’aeronautica civile, è di tre gradi, a seconda dell’intensità: leggera, moderata e severa. Ora, quand’anche il volo AF 447 si fosse trovato al cospetto di una turbolenza di terzo livello (cosa improbabile, visto che i voli sono dotati di radar meteo che danno informazioni in tempo reale sulle condizioni del tempo da lì a 15 minuti: l’equipaggio può quindi con tutta calma operare variazioni di rotta per evitare le zone difficili), se pure si fosse trovato al cospetto di una turbolenza severa, si diceva, è da escludere del tutto l’ipotesi che questa abbia provocato la caduta del jet: fulmine compreso. Il comandante aveva un’esperienza di volo quantificata in più di 11mila ore. Un pilota espertissimo. È probabile che nella sua carriera abbia preso addosso, come si dice in gergo, numerosi fulmini. E ne sia sempre uscito illeso, com’è giusto che sia. Un aereo colpito da un fulmine funziona come una gabbia di Faraday, l’energia della saetta viene scaricata su tutta la carlinga, e si disperde. Gli aerei sono poi disseminati lungo tutta la struttura di dispersori di energia, che alleggeriscono ulteriormente il carico elettrico. Quando un fulmine colpisce un aereo in volo, si sente un gran botto e si vede una gran luce (è per questo che quando ci si aspetta di essere colpiti, l’equipaggio invita i passeggeri a schermare i finestrini con le alette parasole e provvede a alzare le luci di cortesia, per evitare sbalzi percettivi di luce). Una volta a terra, si provvede a ispezionare il mezzo, e di solito i tecnici trovano un foro di entrata e uno di uscita del fulmine, e questo è tutto.

Quanto all’ipotesi di cedimento strutturale dovuta a correnti eccezionali, grandinate tropicali e venti da bufera, anche quella è da escludere. L’aeroplano era in servizio da appena 5 anni, e aveva passato l’ultima revisione generale pochi mesi fa. Una macchina perfettamente funzionante e nuova.

 
Anche la questione dell’assenza di copertura radar andrebbe riportata a un livello di discussione assai più moderato. Allo stato attuale della tecnologia in nostro possesso, non si può attuare un’area di copertura radar da costa a costa. La copertura del radar – che effettivamente per lunghi tratti di traversata oceanica manca – serve soprattutto alle torri di controllo per canalizzare e gestire il traffico di decolli e atterraggi... Non va dimenticato che in un minuto di una qualsiasi giornata contemporaneamente volano migliaia di apparecchi. Un pilota non ha un bisogno necessario e assoluto del radar per andare da X a Y. Ha i suoi sistemi di navigazione. Ha le carte. Ha le rotte già tracciate. Ha il satellitare. E soprattutto comunica con i colleghi che lo seguono e lo precedono lungo quelle medesime rotte. Nel caso di comunicazioni con la torre, poi, ci sono le radio in frequenza HF, di qualità medio-bassa, ma comunque sempre funzionanti e attive.
 
Dunque, restiamo ai (pochi, al momento) punti fermi della vicenda.
L’equipaggio non ha comunicato nulla. Né may day, né malfunzionamenti. Ora, calcolando che l’altezza media di crociera di un volo è di 35mila piedi, e ipotizzando una caduta verticale, proprio a muso in giù, dell’apparecchio, e assumendo infine che il mezzo impieghi un minuto per percorrere 5mila piedi, all’Airbus Air France ci sarebbero voluti 7 minuti prima dell’impatto con l’acqua. Sette minuti e zero comunicazioni. Qualcosa deve essere successo all’interno del cockpit. Un evento improvviso e dirompente, in prima battuta. O, al contrario, un impedimento sottile, silenzioso e strisciante, lento, capace di mettere fuori combattimento i piloti.
 
Per la prima ipotesi (evento improvviso e dirompente) si potrebbe propendere per una esplosione. Il governo francese non esclude ancora del tutto l’ipotesi dell’attentato, anche se l’antiterrorismo ha spulciato la lista passeggeri (ecco uno dei motivi del ritardo iniziale nel rilascio pubblico della lista), e non ci sono elementi preoccupanti o a rischio. Sul passeggero marocchino l’analisi dei servizi è stata meticolosa, ma anche lì non è venuto fuori nulla. L’esplosione potrebbe quindi essere stata causata da una bombola a bordo. Ma anche in questo caso, si trattasse solo di quello, non avrebbe provocato la caduta del jet. Per dire, se fosse stato ossigeno, avrebbe creato uno squarcio nella carlinga, o l’esplosione di uno o più finestrini. Ma in passato, è ampiamente documentato, ci sono stati voli capaci di atterrare anche con un intero portellone saltato via. Bisognerebbe dunque pensare a una serie di concause piuttosto pazzesche. La bombola esplode. Crea lo squarcio. L’aereo si trova in zona di turbolenza severa. Il fulmine colpisce la carlinga… Insomma, quasi più fantascienza che aeronautica.
 
Per quel che riguarda la seconda ipotesi (evento silenzioso e lento), l’idea è di una depressurizzazione che ha portato a ipossia le persone a bordo. A quell’altezza, bastano 30 secondi senza la maschera e si perde conoscenza. Si pensi al volo 522 della Helios, in Grecia, che si schiantò il 14 agosto del 2005 sulle montagne a nord di Maratona. In quel caso, i piloti non si accorsero (anche per colpe dovute ai tecnici di terra) che il sistema di pressurizzazione dell’ossigeno era saltato, e a causa della confusione mentale causata da iniziale ipossia adottarono una serie sbagliata di procedure, che li portarono all’intontimento definitivo e poi allo svenimento (l’aereo continuò a girare nei cieli col pilota automatico fino a quando il carburante finì e si schiantò).
 
A conti fatti, resta dunque, al momento, difficile, se non impossibile, immaginare quale errore dei piloti, se di errore umano s’è trattato, possa aver condannato l’aereo a un tuffo così letale. Quale interruttore potrebbero avere o non avere premuto? Quale leva azionato o no? E soprattutto, cosa li ha spinti a morire così silenziosamente, senza tentare di mandare una qualsivoglia richiesta di soccorso o localizzazione? Va bene, si potrà dire, s’è rotta semplicemente la radio. Le radio, bisognerebbe aggiungere. Paralisi completa di tutti gli apparati comunicativi (evento più unico che raro, ma assumiamo che sia successo). Ma questo come spiega la perdita di controllo dell’apparecchio? E viceversa, l’eventuale perdita di controllo dell’apparecchio, in che modo ha influito sull’assenza totale e inspiegabile di comunicazioni? Perfino l’evento più preoccupante che possa succedere nel corso di un volo, e cioè l’incendio a bordo, lascia sempre il tempo di parlare con la torre, o con i colleghi dei voli vicini.
 
Tutte le ipotesi, è certo, sono zeppe di conseguenze allarmanti. Qualunque cosa sia successa su quel volo, qualunque sarà la conclusione dell’inchiesta, qualunque sia il responso che verrà fuori dalle scatole nere, sempre che si riesca a trovarle, sarà qualcosa di terribile e angosciante.

Commenti all'articolo

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares