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Adesso parlo io... A giugno parleranno gli elettori?

 

Questa volta si è davvero raccomandato in ALTO: il lodo Alfano non bastava più...

Altro che chiedere scusa, come s’è illusa con qualche amica Veronica. Silvio è andato in tivù, da Vespa, per rilanciare la «sua» verità. Vuole che sia lei a piegarsi: dica perdono, ho sbagliato. Dipinge la moglie come una donna manipolata. Accusa «le gazzette della sinistra» di averle fatto bere «due assolute falsità». La prima è che lui volesse infarcire di «veline» le liste del Pdl. La seconda, che avesse frequentazioni con la minorenne Noemi. Berlusconi nega su tutta la linea e definirlo infuriato è poco. Per contrattaccare dal video, ha disdetto all’ultimo istante un appuntamento con il Presidente della Repubblica. Dovevano affrontare la promozione della Brambilla a ministro, ma il caso Veronica è diventato più importante del mini-rimpasto (rinviato a giovedì), specie dopo la bacchettata mattutina dei vescovi. A Vespa non è parso vero di trattare il caso che fa parlare il mondo.


Scaletta allestita di corsa, senza la signora Lario. Nonostante il conduttore e De Bortoli (direttore del «Corsera») l’abbiano difesa, è parso a tratti un processo in contumacia. Se gli italiani si facessero l’opinione solo in base a quanto hanno udito ieri, giudicherebbero Veronica una visionaria. Per Berlusconi è tutto un castello di «calunnie» costruito dalla sinistra «che non riesce ad accettare la mia popolarità salita al 75 per cento, e ricomincia con gli attacchi personali». Dirà anche il premier, nel corso della puntata, che «una bugia di Franceschini al giorno leva i Democratici di torno». Parlerà di terremoto, di «segnali sulla crisi che inducono alla fiducia», chiede un «intervento della Banca d’Italia» affinché le banche continuino a fare le banche e ad erogare crediti alle imprese. «In questo momento gli istituti bancari stanno facendo utili elevati, perfino eccessivi», dice il premier, quindi Draghi farebbe bene a intervenire. Ma nel suo mirino c’è soprattutto la consorte.

Non ingannino certe forme di tenerezza, tipo «sarebbe bello fare i nonni in due», oppure «le ho voluto e le voglio un mare di bene». Il Cavaliere parte subito recriminando, già in passato Veronica aveva creduto a dicerie e falsità. Stavolta è ricaduta nella «trappola». Sulle aspiranti miss da candidare in Europa, la versione berlusconiana cozza con quanto i giornali hanno ricostruito: «Tutte invenzioni». Tra l’altro «se ne sono occupati i tre coordinatori Pdl», lui era all’oscuro. E comunque mettere in lista «donne giovani, non sgradevoli, credo sia positivo. Tutti parlano di quote rosa, e poi quando si osa farle...». L’altra «menzogna» che Veronica avalla, secondo Silvio, è la tresca con la diciottenne napoletana. Tono infervorato del premier. Narra il suo arrivo alla famosa festa di compleanno, mostra le foto scattate con parenti, amici, camerieri e cuochi perché «se rinunciassi a stare con la gente più umile non sarei me stesso». Irride chi ipotizza fotomontaggi, «basta chiedere ai tanti presenti».

Argomenta: «Se ci fosse stato qualcosa di piccante o di men che pulito, il presidente del Consiglio non sarebbe stato così pazzo da andare». Quando tutto sarà chiarito, la «simpatia del mondo cattolico «crescerà», altro che perdere voti. Bordata a «Repubblica». «Non è stato casuale» che Veronica si sia sfogata lì. Faccia scurissima, come l’abito. «Chi è incaricato di una funzione pubblica da presidente del Consiglio può accettare la continuazione di un rapporto solo se si chiarisce che quelle cose erano false, e si dichiara di essere incorsi in errore». Ritratti, o sarà divorzio. Sul matrimonio da tempo in crisi, Berlusconi invoca la privacy: «Fatemi questa grazia». Però, puntigliosamente, proprio lui torna sull’accusa di Veronica («Dai nostri figli che compivano 18 anni lui non è mai venuto»). Racconta di averli chiamati per verificare le circostanze. Luigino «non festeggiò», Eleonora «nemmeno ricorda», quanto a Barbara le portò un aereo di amici a Las Vegas con costumi del Settecento. Amarezza del premier: «E’ una storia che finisce, o può finire, ma non dovrebbe andare in pasto ai giornali. E alla tivù».

Commenti all'articolo

  • Di Enrico (---.---.---.170) 8 maggio 2009 17:09

    Certo, gli italiani parleranno a giugno, e diranno: "Si, vostra Mestà, Sovrano del conflitto d’interessi, Principe delle leggi ad personam, Imperatore dei media!"

  • Di mariuccia (---.---.---.5) 11 maggio 2009 02:10
    Sulla banca Rasini, dove il padre Luigi Berlusconi lavora per tutta la vita, da semplice impiegato a direttore generale, ecco la risposta di Michele Sindona (bancarottiere piduista legato a Cosa Nostra e riciclatore di denaro mafioso) al giornalista americano Nick Tosches, che nel 1985 gli domanda quali siano le banche usate dalla mafia: "In Sicilia il Banco di Sicilia, a volte. A Milano una piccola banca in piazza Mercanti". Cioè la Rasini, dove - ripetiamo - Luigi Berlusconi, padre di Silvio, ha lavorato per tutta a vita, fino a diventarne il procuratore generale. Alla Rasini tengono i conti correnti noti mafiosi e narcotrafficanti siciliani come Antonio Virgilio, Salvatore Enea, Luigi Monti, legati a Vittorio Mangano, il mafioso che lavora come fattore nella villa di Berlusconi fra il 1973 e il 1975.
    ...Nel 1973 Berlusconi, tramite Marcello Dell’Utri, ingaggia come fattore (ma in seguito Dell’Utri l’ha promosso "amministratore della villa") il noto criminale palermitano, pluriarrestato e pluricondannato Vittorio Mangano. Il quale lascerà la villa solo due anni più tardi, quando verrà sospettato di aver organizzato il sequestro di Luigi d’Angerio principe di Sant’Agata, che aveva appena lasciato la villa di Arcore dopo una cena con Berlusconi, Dell’Utri e lo stesso Mangano. Mangano verrà condannato persino per narcotraffico (al maxiprocesso istruito da Falcone e Borsellino) e, nel 1998, all’ergastolo per omicidio e mafia

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