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 Home page > Tribuna Libera > Addio a Paolo Villaggio: l’eredità del "suo" Fantozzi

Addio a Paolo Villaggio: l’eredità del "suo" Fantozzi

“Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni” e i sogni finiscono spesso per nutrirsi delle nostre ambizioni deluse. Ora che Paolo Villaggio se ne è andato non ci resta che, ancora una volta, analizzare e sopratutto valorizzare l'eredità che ci ha lasciato.

Partire dai sogni sembra inevitabile per inquadrare le creature dell'attore genovese, Fantozzi su tutti. I sogni quali specchio delle umane ambizioni declinate attraverso il desiderio che si fa ossessione fino a diventare (nel peggiore dei casi) istinto di megalomania.

Perché Fantozzi è stato cantore dei tempi e li ha saputi leggere con anticipo e lucidità, in una società che svoltava sempre più verso un capitalismo sfrenato e assurgeva il piacere personale quale idolo da consacrare senza se e senza ma, il Rag. Ugo stretto tra l'Idiota di Dostoevskij e l'edonismo “reaganiano” (di cui ne anticipa l'avvento) ha parlato a tutti noi.

Paolo Villaggio non si è limitato a farci ridere, egli voleva aprirci gli occhi attraverso la risata; la risata che è poi uno dei tanti strumenti in mano alla rivoluzione.

Una rivoluzione “morale” vista con la spietatezza di una critica sociale lucida ed impietosa, i tratti dei protagonisti messi in scena da Paolo Villaggio inchiodano lo spettatore dinnanzi alle proprie miserie viaggiando tra i tanti vizi e (pochi) slanci di orgoglio e dignità che si sono spesso palesati nella nostra Italia a cominciare dalla vita pubblica del nostro Paese.

L'universo “fantozziano” è il mondo di tutti noi; le invidie, le piccole prevaricazioni per sentirsi migliori di qualcun'altro senza (voler) vedere le inettitudini personali. La sfiga fantozziana è solo l'altra faccia del refrain molto italico del “intanto nulla cambia”, facile giustificazione del disimpegno individuale.

Paolo Villaggio era un comico nell'accezione più completa del termine, egli non recitava soltanto ma con sguardo penetrante entrava in profondità costringendo lo spettatore ad interrogarsi.

Fantozzi è stato il profeta triste e consapevole del “mors tua vita mea” di una realtà senza pentimento e commiserazione; ma nonostante la nuvoletta perenne Fantozzi sapeva anche ricordarci che Spartaco (ogni tanto) può rompere le catene del servilismo.

Parafrasando Karl Marx il quale diceva che “i fenomeni storici accadono sempre due volte, la prima come tragedia, la seconda come farsa” potremmo dire che i film di Fantozzi sono stati un vero e proprio fenomeno storico presentatosi con il primo capitolo come una vera e propria messa in scena delle umane miserie per poi divenire via via (lungo i dieci capitoli della saga) una farsa che andava decifrata. Perché Fantozzi faceva ridere “con la pancia” ma voleva far riflettere “con la testa”.

E anche in questo Villaggio aveva precorso i tempi e i protagonisti di ogni epoca, prendendosi gioco di essi, visto che oggi spesso si ritiene di dover parlare alla pancia (in modo scellerato) delle persone piuttosto che al loro cervello.

Villaggio stesso, è forse rimasto nella propria esistenza prigioniero di un personaggio così complesso e reale e certamente è stato spesso incompreso o travisato.

Forse le future generazioni non rideranno più con Fantozzi perché la comicità ai tempi veloci e furiosi degli smartphone non ha tempo di sedimentarsi ed allora quelle gag saranno solo farsa o invece continueranno a ridere e capire una figura capace di ricordarci in fin dei conti “com'è umano lei”.

 

 

 

 

 

 

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