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25 aprile: memoria condivisa con chi?

25 aprile: memoria condivisa con chi?

Come spesso è capitato negli ultimi anni, la festa del 25 aprile, la Liberazione, una ricorrenza che dovrebbe unire tutti gli italiani ha suscitato, nei giorni immediatamente precedenti, diverse reazioni contrastanti, tentativi di ridimensionamento, mistificazioni storiche aberranti.
 
Si va incontro a tempi duri per la difesa dei valori della Resistenza a giudicare dagli sconcertanti comportamenti e dalle dichiarazioni di alcuni politici. Fra tutte sottolinerei l’iniziativa del presidente della provincia di Salerno, tale Edmondo Cirielli, del Pdl, che ha fatto affiggere una serie di manifesti in cui si rende omaggio esclusivamente al sacrificio dei giovani soldati americani, morti per salvare l’italia dalla dittatura comunista. Cancellata in un solo colpo l’eroica lotta dei partigiani per liberare il paese dal nazi-fascismo, secondo l’interpretazione <<dinamica e futurista>> del Cirielli il merito va esclusivamente agli alleati che con il loro intervento ci evitarono un futuro da paese satellite dell’Unione Sovietica.
 
Ignoranza storica che si evince anche dall’intervento del neo governatore del Veneto Luca Zaia che a proposito dei partigiani dell’Anpi dice <<Sono come i vietcong, bisogna avvertirli che la guerra è finita da 65 anni, visto che a ogni 25 aprile continuano a scatenare polemiche>>. Per la precisione il riferimento storico andrebbe riferito ai soldati giapponesi del secondo conflitto mondiale che non sapevano che la guerra era terminata. Poi c’è da aggiungere, come ha ricordato Raimondo Ricci, presidente dell’Anpi, che i partigiani italiani sono stati i padri fondatori della nostra costituzione, una carta scritta da ex combattenti che conoscevano bene le atrocità della guerra e per questo all’articolo 11 sancirono il ripudio di essa. Con questo pensavano che il loro sangue versato fosse un monito per le future generazioni. Evidentemente non è stato sufficiente se oggi siamo qui a discutere certe affermazioni.
 
E non è tanto la loro inattendibilità storica che spaventa, visto la classe dirigente che ci rappresenta non c’è molto da aspettarci, inquietante è la volontà di mistificazione eseguita ad arte e con precisione balistica. Oggi la frase che più va di moda è che i morti sono tutti uguali. Niente da dire sui morti ma sussistono differenze importanti fra le azioni compiute dai vivi. C’è chi si schierò dalla parte dei combattenti che liberarono l’Italia e chi, magari inconsapevolmente e in maniera avventata, scelse la fazione sbagliata che voleva restaurare il regime. Questo evidentemente va ribadito a 65 anni di distanza dalla nostra guerra civile. Non è possibile condividere il momento fondativo della nostra Repubblica con chi oggi ritiene che vadano onorati anche coloro che combatterono per la Repubblica Sociale Italiana. Furono una minima parte del popolo italiano, spesso giovani cresciuti nel brodo culturale e mitologico del fascismo, mentre tutti gli altri, anch’essi giovani, democratici, cristiani, azionisti, socialisti, repubblicani, comunisti, monarchici, abbracciarono il fucile e combatterono per restituire all’Italia un futuro libero e democratico. Pietà per i morti ma ristabiliamo la verità storica, è un messaggio che dobbiamo trasmettere ai più giovani, non possiamo cancellare queste tragiche pagine dai libri di storia come si sta provando a fare, gli studenti di domani dovranno aver ben presente cosa fu il fascismo e i meriti della Resistenza, questa vuol dire memoria condivisa, tutto il resto è solo politica e pure di basso livello.

Commenti all'articolo

  • Di Francesco (---.---.---.153) 27 aprile 2010 15:12

    Partendo dal finale, si può dire che l’intento è la cancellazione della memoria storica.
    Ci vuol poco a rendere un popolo "smemorato", basta cambiare l’informazione su un dato momento storico e il gioco è fatto. La democrazia senve anche a questo. Finché c’è libertà, c’è anche la possibilità di controbattere alle falsità storiche.
    A mio avviso, gli "antifascisti" hanno e continuano a commettere un errore fondamentale. Il continuo richiamo alla guerra civile come momento determinante dell’attuale assetto politico/sociale italiano, se da una parte è giusto perché è un momento storico da non dimenticare, dall’altro crea i presupposti per tutte quelle obiezioni miranti ad includere nella lotta di liberazione anche coloro che combattettero nella parte avversa.
    Ed è proprio il binomio fascismo/antifescismo a rendere possibile ciò.
    E’ vero che negli anni sessanta e settanta ci fu, in Italia, la strategia della tensione (stragi di piazza fontana, piazza della loggia e stazione di bologna) mirante a destabilizzare la democrazia, ma è altrettanto vero che, detta strategia è fallita e che la democrazia oggi è di fronte si, ad un’altra sfida ma questa sfida si sta svolgendo su un piano falsamente democratico, cioè non violento. Inoltre, ci fu una reazione dell’estrema sinistra(?) altrettanto violenta che provocò, in Italia, una ripulsa non solo del fascismo, ma di ogni dittatura.
    Parlare di resistenza senza tener conto della storia del dopo guerra (andrebbero analizzate anche le aspettative rivoluzionarie dei comunisti, e conseguenti azioni, che furono disattese dagli accordi tra gli alleati) , significa, da una parte dare maggior preminenza a una sola componente del movimento di liberazione, cioè interpretare la storia a senso unico; dall’altra, permettere ai finti democratici di sbandierare il tentativo di detta componente di istaurare una dittatura.
    Sia la guerra di liberazione sia la storia del dopo guerra ci dovrebbe insegnare che il significato del 25 Aprile è la laicità dello stato perché solo essa ci permetterà di contrastare ogni tentativo di restauro dell’illegalità, nera o rossa che sia.

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