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Tre cuori, di Benoît Jacquot

Tre cuori appassionati, uno dei quali è clinicamente malato e rischia di scoppiare, e quasi scoppia in realtà. E’ quello del 47enne Marc Beaulieu (Benoit Poelvoorde, già notevole protagonista in Une place sur la terre) che s’innamora di Sylvie, l’eterea e “maschile” Charlotte Gainsbourg, affascinante, che poi perde a lungo di vista per un contrattempo, imbattendosi casualmente nella sorella di lei, Sophie, Chiara Mastroianni (il naso perfetto del famoso padre), che sposa e con la quale ha un bambino.

Che imbarazzo quando Sylvie torna dall’America per il matrimonio della sorella, Marc resta smarrito e si sente perfino solo alla festa con gli invitati, tanto da pregare suo fratello di vedersi più spesso. Solo dopo che a una festa di compleanno della madre delle due sorelle, Catherine Deneuve, hanno avuto il coraggio di guardarsi negli occhi finalmente (una delle scene interpretate in modo eccellente), i due mancati amanti non possono che reiniziare la loro relazione, troppo forte la loro attrazione, troppo forte questa catena, io non la posso spezzare (questa è la Mannoia). E la madre che da madre qualche cosa l’ha intuita, e sa leggere da madre ogni tuo sguardo (questo invece è il “sommo poeta” Guccini), capta questi ribilanciamenti di passione e riesce a far la suocera e madre discreta ed elegante (oui, je suis Catherine Deneuve!).

Benoit Poelvoorde gigioneggia agevolmente, con un fare discreto e mai assediante, tra questi due innamoramenti e il suo lavoro di integerrimo ispettore fiscale, poco preciso nell’interpretare i suoi sentimenti ma molto preciso nello stanare evasori. Il suo lavoro del resto, così dice lui alla suocera, gli permette di creare dei legami – che con le donne già egli si crea con naturalezza – si entra nella loro sfera intima, niente di meglio per lui che si dice “orfano”, con studio a Parigi ma con frequenti trasferte di lavoro in provincia, dove le due sorelle antiquarie risiedono e hanno negozio. Le donne sono spesso conquistate dal tipo indifeso e spaurito, com’è Marc, o dal vero maschio che “non deve chiedere mai”.

A parte una certa stanchezza nello svolgimento avrei messo un finale diverso: dato che era fortissimo il legame tra le due sorelle, e rassicurante per le due, avrebbe potuto, Marc, continuare il ménage à trois, anzi à quatre perché c’era il bambino, non si lascia il proprio figlio per lasciare la propria moglie, e avrebbero vissuto tutti insieme appassionatamente. Altro finale avrebbe potuto essere quello del cuore che gli scoppia per davvero e le passioni già vissute sarebbero rimaste patrimonio comune ai tre, da ricordare: sarebbe stato più originale e l’atmosfera tragica del finale lo avrebbe permesso. Non male il film “mais rien de terribile”, un altro triangolo, guarda un po’ cosa s’è inventato il bravo regista Benoit Jacquot. All’inizio Marc ha perso il treno della sera per Parigi, si ferma a un bar per smaltire la delusione, ordina una birra e riceve invece una bottiglia d’acqua, naturale: è una piccolissima imperfezione di regia in un film che non quadra tanto.

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