Tutto condivisibile, sia l’articolo, sia il commento.
Ma c’è un ma, come al solito. Purtroppo, le cose non sono mai così semplici come ci si augurerebbe.
La questione posta da Phastidio è semplice: se rinunciamo a produrre acciaio, possiamo dire definitivamente addio al manufatturiero italiano. Basta pensare alla grande cantieristica navale, che si troverebbe presto ad essere strangolata. Tutto a favore dei competitors, in prima linea naturalmente la Cina, ma anche la Grande Germania, per la quale l’EU è solo un’espressione geografica, per usare una famosa locuzione di un loro concittadino. Da tenere presente, tra l’altro, quali saranno le ripercussioni sulla ThyssenKrupp della probabile crisi di vendite della Volkswagen per i noti avvenimenti ultimi scorsi, e come reagirà alla conseguente contrazione della domanda interna.
D’altra parte, anche la questione posta da Antonio Russo è semplice: Taranto è una ferita purulenta aperta nel nostro territorio, in particolare nel già abbastanza martoriato Sud.
E nessuno finora è riuscito a trovare una quadra, per dirla alla Bossi, tra l’esigenza di produrre in modo pulito e sostenibile, la necessità di intervenire sull’ambiente per salvare il salvabile, la contrarietà dei tarantini che con l’Ilva ci campano la famiglia.
Il tutto senza tirar fuori quattrini e senza bloccare la produzione per tempi indefiniti (e impossibili da sostenere)!
La soluzione? Russo ci dice che "potremmo diventare leaders logistici nel commercio navale", e lo pone come alternativa all’Ilva. Dimentica però di citare Gioia Tauro, che leader nel Mediterraneo già lo è.
A parte questo particolare non secondario, l’errore a mio avviso sta proprio nel porre la questione in termini di o ...o, invece di e...e.