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L’incremento della durata media della vita è un fatto di per sé positivo. Purchè non decada il livello di vitalità psico-fisica.
Il progressivo invecchiamento della popolazione è, viceversa, un fenomeno che pesa sulla spesa pubblica e che richiede dei correttivi. Senza tuttavia ignorare la “contiguità” tra sistema sanitario e pensionistico.
Costringere tutti a lavorare non meno di 66 anni è un artificio “contabile” che non tiene conto di alcune controindicazioni.
Presuppone la conservazione di capacità psico-fisiche molto differenziate. Usare la penna o la fiamma ossidrica non è la stessa cosa.
Non solo.
Con il passare degli anni lo “sforzo” richiesto tende a “minare” vieppiù lo stato di salute. Più dura la “vita” lavorativa e più cresce il rischio di dover ricorrere a cure mediche.
E ancora.
Condizione di “senilità” affatto invidiabile sono i circa 2 milioni di anziani già oggi non auto-sufficienti. Numero destinato a salire più rapidamente a fronte di prestazioni lavorative “prolungate”.
Ergo. Si risparmia sul capitolo delle pensioni, ma si rendono più “esposti e vulnerabili” gli anziani generando crescenti oneri a carico del servizio sanitario.
Soluzione più “apprezzabile”, oltre che più efficace nel tempo, sarebbe puntare su attività a più alto valore aggiunto, allargare il bacino occupazionale e sostenere il tasso di natalità.
Artificioso è contenere la spesa prescindendo dalle conseguenze indotte.
Nel paese del Barbiere e il Lupo non mancano soluzioni davvero singolari …