L’ “INEFFICIENZA” DEI TRIBUNALI MILITARI ALLA LUCE DEL DECRETO DI ATTUAZIONE DELLA LEGGE 148/2011 – di Giovanni Surano
Con decreto legislativo di attuazione della legge delega 148/2011 il
Ministro della Giustizia Paola Severino ha rivoluzionato la geografia
giudiziaria italiana, sopprimendo 37 tribunali, 38 procure, 220 sezioni
distaccate e 674 sedi di giudici di pace, per un totale di 969 uffici
giudiziari. Il provvedimento, abbozzato in un periodo di furore
governativo finalizzato all’attuazione di una disciplina di bilancio e
revisione della spesa pubblica, a detta del Ministro nulla c’entra con
l’opera di risanamento dei conti se non di riflesso ma attua invece una
delega ereditata dal precedente governo “che consentiva la
riorganizzazione dei tribunali e delle aree giudiziarie, per rendere
efficiente giustizia anche attraverso la redistribuzione giudiziaria”.
Ad ogni modo, tanto che lo si voglia considerare ontologicamente
pedissequo alla c.d. spending review o come mera attuazione della legge
delega 14.9.2011, n.148 mirata alla razionalizzazione strutturale della
macchina giudiziaria italiana, oppure ad entrambe le ipotesi, alcune
considerazioni sullo schema di decreto legislativo vale la pena di
farle.
Il primo punto da affrontare è il criterio adottato dal Ministro per
decidere quali tribunali tagliare e quali sottrarre alla scure di via
Arenula.
Il criterio è quello dell’efficienza. Cosa vuol dire?
In sostanza si è deciso che quei tribunali o uffici giudiziari che non
rispondono a certi parametri o indicatori c.d. di efficienza sono da
considerare dei rami secchi della pubblica amministrazione e come tali
da sopprimere.
Necessita a questo punto capire quali siano questi indicatori che
introducono per la prima volta il concetto di efficienza agli uffici
giudiziari.
Si è detto che affinché un tribunale o ufficio giudiziario possa
ricevere la patente di efficienza e quindi sopravvivere al processo di
razionalizzazione deve rispondere a 5 indicatori i cui valori devono
stare al di sopra di quelli convenzionalmente definiti: l’estensione del
territorio (2.169 chilometri quadrati), il bacino d’utenza (382.191 –
numero abitanti), i magistrati addetti in organico (28), i carichi di
lavoro (18.094 carichi sopravvenuti) e le definizioni medie annue per
magistrato (638,4). In difetto anche di uno solo dei cinque indicatori
il tribunale o l’ufficio giudiziario sarà soppresso.
Una linea rigida, non c’è che dire, soprattutto quando si volge
l’attenzione a quegli uffici giudiziari carenti di uno di quegli
indicatori e che insistono in territori ad alto rischio di criminalità
organizzata. Se non vi è alcuna difficoltà a credere al Ministro quando
afferma che in seguito alla revisione della geografia giudiziaria la
giustizia stessa nel suo complesso non ne risentirà, un pensiero
sull’impatto emotivo o su messaggi più o meno distorti che come tali
possono essere recepiti quando si andrà ad abbassare la saracinesca di
alcuni tribunali di frontiera del meridione è lecito averlo. Ma tant’è.
La premessa era necessaria non per criticare la meritoria opera di
questo governo nella sua complessiva azione di razionalizzazione della
struttura giudiziaria, tantomeno per confutare i criteri adottati, ma
per introdurre il secondo punto del discorso cioè la comparazione in
termini di efficienza tra giustizia ordinaria e giustizia militare alla
luce del predetto decreto.
Avendo consapevolezza che le due giustizie rispondono a esigenze ed a
dicasteri diversi, una comparazione va fatta, se non altro per tre
motivi fondamentali:
Il processo penale militare è identito, salvo alcune differenze sull’azione penale del PM, a quello ordinario;
I magistrati militari sono soggetti agli stessi meccanismi di progressione di carriera di quelli ordinari;
I trattamenti stipendiali dei magistrati militari sono agganciati a quelli dei magistrati ordinari.
In altri termini, posto che i magistrati militari svolgono lo stesso
lavoro di quelli ordinari, godono degli stessi benefici di carriera e
dello stesso trattamento economico di quest’ultimi , rimane da vedere
se entrambe le categorie sono sovrapponibili anche dal punto di vista
della produttività in seguito all’introduzione del concetto di
“efficienza” degli uffici giudiziari.
Il magistrato militare, pagato e gratificato in carriera quanto il magistrato ordinario, produce quanto quest’ultimo?
E’ agevole rispondere alla domanda prendendo a riferimento i dati del
sito internet del Ministero della Difesa www.difesa.it e quelli
illustrati nella relazione di inaugurazione dell’anno giudiziario
militare 2012 del presidente della Corte Militare di appello dott. Vito
Nicolò Diana.
Si apprende da quei dati che gli indicatori di produttività della
giustizia militare sono abbondantemente al di sotto di quelli delineati
dal Ministro di Giustizia per certificare l’efficienza di un ufficio
giudiziario e per giustificarne la sua esistenza.
Basti pensare che nessun tribunale militare dei tre esistenti (Roma,
Napoli, Verona) raggiunge gli standard produttivi indicati dal Ministro,
nemmeno se venissero accorpati in un unico ufficio. Tribunali con 10
magistrati in organico tra giudicanti e requirenti (1/3 rispetto
all’indicatore di efficienza) che producono mediamente 60-70 sentenze
all’anno fanno riflettere al cospetto degli indicatori che hanno
decretato la chiusura di 969 uffici giudiziari. Procure militari e
uffici del gip/gup che trattano mediamente 600 nuovi procedimenti
all’anno (1/30 rispetto all’indicatore di efficienza) e che solo 1/10 di
questi si traduce in un rinvio a giudizio danno l’idea dell’esigua mole
di lavoro che interessa la magistratura militare se raffrontata con
quella ordinaria.
Tanto per dare qualche altro numero, dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre
2011 sono pervenuti al Gip-Gup dei tre tribunali militari 1802 fascicoli
e ne sono stati esauriti 1727, dei quali 1281 con decreto di
archiviazione, 198 con decreto che dispone il giudizio, 9 con decreto di
giudizio immediato, 59 con sentenza di non luogo a procedere, 82 con
sentenza di applicazione della pena su richiesta, 54 con sentenza a
seguito di giudizio abbreviato e 44 con altri provvedimenti.
Il carico di lavoro dei 3 tribunali militari è stato gestito da circa 31
magistrati tra requirenti e giudicanti, con un numero di definizioni
medie annue per magistrato di circa 60 (1/10 rispetto all’indicatore di
efficienza).
Inoltre, tra stucchi e arazzi di Palazzo Cesi (Tribunale militare Roma),
di S.M. Degli Angeli a Pizzofalcone (Tribunale militare Napoli) e del
comprensorio S. Lucia (Tribunale militare Verona), sempre nell’anno
2011, i 31 magistrati in servizio hanno portato a termine
complessivamente 208 procedimenti di primo grado, producendo una media
di circa 65 sentenze/anno per ogni tribunale.
La Corte militare di appello con i suoi 12 magistrati ha inoltre trattato 113 processi, avendone ricevuti 108.
Ed infine la Procura Generale militare presso la Corte di Cassazione che con i suoi 2 magistrati ha definito 28 processi.
Non va dimenticato il Tribunale militare di sorveglianza che con i 3
magistrati in organico si occupa dell’esecuzione della pena con i
carceri militari praticamente vuoti.
Un quadro abbastanza esaustivo che oltre ad indicare la facilità con cui
si dà corso alle denunce presso le procure militari (1281 archiviazioni
a fronte di 1727 procedimenti aperti) anche quando il fatto denunciato
rientra in astratto nell’alveo dell’illecito disciplinare, delinea
altresì una situazione di “inefficienza” alla luce dell’introduzione di
quegli indicatori che hanno consentito la soppressione di importanti
uffici giudiziari ordinari sul territorio nazionale.
Tale quadro, se analizzato in un’ottica di razionalizzazione delle
istituzioni e risparmio di risorse pubbliche potrebbe far divenire
legittimo auspicio quel grido di allarme con cui il presidente della
Corte Militare di appello all’inaugurazione dell’anno giudiziario
militare 2012 ha provocatoriamente ed immaginificamente denunciato la
marginalità della giustizia militare: “la Giustizia militare è sempre
più evanescente, prossima ad uscire di scena per quindi trovare onorata
collocazione nel museo degli istituti giuridici non più attuali”.
D’altro canto è risaputo che l’apparato giudiziario militare si oppone
strenuamente alla temuta (o certificata) marginalizzazione profetizzata
dal dott. Diana ed iniziative parlamentari a difesa dello status quo ne
abbiamo viste tante anche nel corso di questa legislatura (DDL
Cirielli), poi fortunatamente abortite. Legittimamente dal loro punto di
vista i magistrati militari rivendicano controriforme della giustizia
militare che amplino la giurisdizione anche mediante una ridefinizione
della geografia giudiziaria, devastata a loro avviso dallo tsunami che è
stata la legge finanziaria del 2008. Ma non per questo ci si può
sottrarre da riflessioni che portino ad un ripensamento della giustizia
militare che vada nel senso contrario rispetto a quello dei legittimi
interessi di parte, tanto più oggi alla luce delle nuove misure di
razionalizzazione dello strumento giudiziario ordinario.
E’ lecito domandarsi per quale motivo sono stati soppressi o accorpati
importanti uffici giudiziari in aree ad alta densità mafiosa e mantenuti
quei 3 tribunali militari che servono a garantire giustizia ad un
bacino di circa 300.000 militari (ben al di sotto dell’indicatore di
efficienza di 382.191 abitanti previsto per un solo tribunale ordinario
)?
E’ ancora attuale la specialità della giurisdizione per i militari così
come è strutturata? O non è forse tempo di ripensare anche questo
strumento?
Si potrebbe ad esempio ipotizzare, se proprio si sentisse la necessità
di non rinunciare alla giustizia con le stellette, all’accorpamento dei
tre tribunali oggi esistenti in un unico tribunale militare con sede in
Roma e portare così a compimento quel piano avviato con la finanziaria
del 2008 che ridusse da 9 a 3 i tribunali militari, con considerevoli
risparmi economici e utilizzo dei magistrati militari in esubero nella
giustizia ordinaria.
Oppure abolire del tutto la giustizia militare come ha fatto la Germania
ed altri paesi europei alla fine della 2^ guerra mondiale, e questo
avvicinerebbe senz’altro le forze armate italiane a quelle degli altri
paesi della comunità europea e lo Stato italiano alla più virtuosa
Germania in materia di spesa pubblica.
Ad onor del vero va comunque detto che la magistratura militare ha
svolto una meritoria opera di giustizia in importanti procedimenti come
quelli sui crimini nazisti commessi nel periodo della 2^ guerra
mondiale, ovviamente al netto dello scandalo dell’armadio custodito
nelle segrete di Palazzo Cesi al cui interno furono rinchiusi, con le
ante rivolte verso la parete, centinaia di procedimenti penali a carico
di ufficiali delle SS i cui fascicoli furono dolosamente tenuti in
barrique per più di 30 anni.
Esaurito quel filone giudiziario con scandali annessi e connessi,
abolita la leva obbligatoria e smilitarizzati alcuni corpi armati dello
Stato, oggi la magistratura militare, lasciata fossilizzare in una
normativa sostanziale che ignora i nuovi reati (si pensi ai reati della
sfera sessuale, ai reati telematici, al peculato d’uso, etc.), si occupa
prevalentemente di questioni bagatellari che spesso rasentano il
confine dell’illecito disciplinare.
E tuttavia a meno che non si voglia per legge obbligare ciascun militare
a commettere almeno tre o quattro reati all’anno per garantire un
sufficiente numero di procedimenti, il carico di lavoro di questa
magistratura è davvero esiguo se raffrontato a quello della magistratura
penale ordinaria e la prossima riduzione di 30.000 unità di personale
delle forze armate accentuerà sempre più detta criticità.
Il dibattito sulla speciale giurisdizione per i militari non è fatto
degli ultimi decenni ma risale ai primi anni dello stato post-unitario e
giuristi del calibro di Mario Pagano e Arturo Bruchi hanno dato il loro
prezioso contributo per spiegare l’inutilità di quello che già a fine
800 veniva percepito come un anacronistico strumento di giustizia.
Cogliere l’occasione della razionalizzazione dello strumento giudiziario
ordinario in un contesto di crisi economica e di spending review per
definire una volta per tutte il destino da riservarsi alla giurisdizione
penale speciale sarebbe un’ottima cosa, resta da vedere cosa ne pensano
i ministri Di Paola e Severino, quest’ultimo profondo conoscitore della
materia per essere stato nel periodo 1997-2001 vice presidente
dell’organo di autogoverno di quella magistratura.
In onore alla memoria di uno dei due giuristi prima citati, Mario
Pagano, è utile rileggere un passaggio di un’opera che scritta nel
secolo XIX pare di estrema attualità, nella parte in cui in riferimento
alla giustizia militare l’autore scriveva: “Ella è cosa avvertita da’
dotti, che le personali giurisdizioni sono funeste conseguenze del
governo de’ barbari presso de’ quali le giurisdizioni furono personali
tutte. I Romani non conobbero affatto siffatte perniciose distinzioni.
L’uomo cinto di toga e quello armato di spada obbedivano del pari allo
impero dello stesso Pretore” (Mario Pagano – Principii del codice penale
e considerazioni sul processo criminale, Cap. XXVII).
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