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Class Enemy, di Rok Bicek

 Il professore di tedesco Robert Zupan (l’ottimo e dallo sguardo intenso 58enne Igor Samobor) avvicenda la titolare della cattedra che va in maternità: questa è un’insegnante comprensiva e affettuosa coi suoi studenti, una bella classe ne dice, laddove Robert vede dei ragazzi vivaci disobbedienti e poco concentrati il cui merito effettivo nella materia dev’essere ridotto di almeno due voti. Il supplente ha il piglio più efficiente, mira molto al rendimento nella sua materia, parla in ottimo tedesco agli studenti e pretende che loro si esprimano nella stessa lingua oltreché rispettino rituali di comportamento perché, dice, solo poche cose servono veramente a vivere. Un’associazione di idee fa pensare al direttore-dittatore tedesco che prende il comando dei musicisti nel finale di Prova d’orchestra di Fellini, quasi che quella lingua suoni particolarmente adatta nel condurre persone (führen).

 
E’ rimarchevole che Rok Bicek, 30 anni, abbia saputo mettere in scena un film come Class Enemy, del 2013, suo primo lungometraggio, in modo sì emozionale ma calibrato e lineare, interpretando esattamente i punti di vista degli studenti, della scuola come istituzione, dei genitori e dei professori, punti di vista che chi vive la scuola può riscontrare giornalmente. Sua è anche la sceneggiatura che pronuncia parole così precise e afferenti agli adolescenti che crescono. C’è un suicidio nel film, di Sabina, una studentessa taciturna, sensibile pianista: pare che questa sia stata un’esperienza dal regista vissuta al liceo e che i suicidi in Slovenia siano numerosi. Gli sloveni, se non si ammazzano da soli si ammazzano l’un l’altro, dice un ragazzo asiatico nel film. C’è la faccia in bianco nella figura umana nera della locandina, parrebbe doversi riempire da parte dello spettatore con quella del “nemico” della classe, che nel prosieguo è difficile trovare, non tutto essendo bianco o nero. Quel suicidio e i metodi del professore scatenano invece un cortocircuito, un tutti contro tutti, palline impazzite, dapprima gli studenti e poi anche i loro genitori (non tutti) verso il professore: la ricerca e l’emarginazione del colpevole pare essere del resto la logica corrente nell’intera società. Nulla possono i sermoni della psicologa della scuola ai ragazzi, parole vuote e teoria verso chi, come uno di loro, ha appena perso la mamma e verso i compagni di classe di Sabina. In realtà il professore nuovo arrivato mette in luce i conflitti latenti e i punti di vista diversi dei ragazzi stessi, o la considerazione che egli acquista pian piano agli occhi di alcuni di loro. 
 
Li vuole educare a diventare degli esseri umanicapaci di scegliere cosa fare della propria vita, anche crescere attraverso la tragedia della propria compagna, lei che una decisione l’ha presa, giusta o meno. Afferma che essere uno studente non è un diritto ma un grande privilegio (e torto non gli si può dare), che studiare non vuol dire sapere e che volere non significa potere. Una visione molto differente da quella di un suo collega d’istituto: coi ragazzi basta scherzarci un po’, gli dài i voti ed è fatta. Appare di frequente l’interesse di Zupan per la musica, ha ascoltato Sabina suonare e quel suono registrato si sente spesso nella scuola; in un’occasione egli cita Mozart, che a cinque anni aveva già deciso cosa avrebbe fatto nella vita. Il professore ha avvicinato la letteratura alle loro esperienze attuali (il modo più produttivo per apprezzarla) e mette in evidenza una frase su tutte di Thomas Mann: La morte di un uomo è meno affar suo che di chi gli sopravvive. Un’accorata lettera della migliore amica e compagna di classe di Sabina, letta ai compagni in tedesco, le rimprovera che ormai a lei non manca nessuno, di essersi salvata dal dover mai sentire la mancanza di qualcuno, di aver pensato solo a sé stessa mentre lei la penserà fino alla fine della sua vita.
 
Nel finale molto simbolico o di grande didattica la classe e Zupan stesso indosseranno una maschera con la faccia di Sabina, mentre il professore si commiata, annuncia loro che non parteciperà alla gita di fine anno e dà loro una specie di sveglia: non siete stati capaci di trovare una soluzione che accontentasse tutti, perché una soluzione non esiste (il giusto/sbagliato, bianco o nero). Sabina ha preso la sua decisione mentre metà di voi non sa prenderne alcuna (anche nelle cose più semplici). Come potreste capire cosa è veramente importante nella vita? Non saprete mai se avete preso la decisione giusta perché non vi siete fidati di voi stessi. Accusate il sistema, ma il sistema è freddo inesorabile matematico, solo chi è deciso a raggiungere la riva la raggiungerà. Vi auguro tutto il meglio per la vostra vita.

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