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Il diritto di avere figli

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La Corte costituzionale ha diffuso le motivazioni della sentenza 126 / 2014 emanata lo scorso 9 aprile, con cui cassava il divieto di ricorrere alla fecondazione eterologa contenuto nella legge 40. Una legge che abbiamo definito “la bandiera dello stato etico voluto dai vescovi”. Le reazioni di queste ore mostrano come non la vogliano ammainare troppo in fretta. Anche a costo di apparire incoerenti.

Le parole utilizzate dai giudici della Consulta non lasciano adito a fraintendimenti, sono chiarissime:

“La determinazione di avere o meno un figlio, anche per la coppia assolutamente sterile o infertile, concernendo la sfera più intima ed intangibile della persona umana, non può che essere incoercibile, qualora non vulneri altri valori costituzionali, e ciò anche quando sia esercitata mediante la scelta di ricorrere a questo scopo alla tecnica di PMA di tipo eterologo, perché anch’essa attiene a questa sfera”.

Vi è quindi un diritto, vi sono quindi dei limiti. Si sottolinea inoltre il fatto che il divieto sarebbe economicamente discriminante: chi ha i mezzi può infatti ricorrere al cosiddetto “turismo riproduttivo”. Non che la situazione sia comunque rose e fiori anche in Italia: un’inchiesta di Repubblica ha portato alla luce come nel nostro Paese i centri pubblici dedicati alla fecondazione sono di fatto fermi, a tutto vantaggio dei privati e a tutto danno dei cittadini.

Il dispositivo contiene anche un passaggio che dovrebbe far piacere ai cattolici:

“Il progetto di formazione di una famiglia caratterizzata dalla presenza di figli, anche indipendentemente dal dato genetico, è favorevolmente considerata dall’ordinamento giuridico, in applicazione di principi costituzionali, come dimostra la regolamentazione dell’istituto dell’adozione. La considerazione che quest’ultimo mira prevalentemente a garantire una famiglia ai minori […] rende, comunque, evidente che il dato della provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa”.

Viviamo in un ordinamento orientato alla famiglia, ci ricorda la Consulta. Che ha obiettato sulla “irrazionalità” di chi vuole vietare l’eterologa paventando il “rischio psicologico correlato ad una genitorialità non naturale” e la “violazione del diritto a conoscere la propria identità genetica”: sono infatti gli stessi rischi che si possono correre in caso di adozione, che però i cattolici ammettono (e di cui gestiscono la maggioranza delle domande presentate).

Che la legge 40 fosse irrazionale era facile capirlo già al momento della sua approvazione, sia pensando ai suoi ispiratori nemmeno tanto occulti, sia per i contenuti, dai diritti riconosciuti al concepito già all’articolo 1 all’irresponsabile divieto delle diagnosi preimpianto. Non stupisce che la legge sia stata demolita decine di volte nelle aule di tribunale. Stupisce piuttosto che qualcuno la difenda ancora.

Il comunicato della Conferenza episcopale rammenta infatti che “nessuno di noi è padrone di nessuno e nemmeno i genitori sono padroni dei loro figli”. Sono le parole di un alfiere del nuovo corso (indistinguibile dal vecchio), mons. Nunzio Galantino, che parla di mancato riconoscimento dei diritti “di quegli esseri che non hanno possibilità di esprimersi”. Da parte sua il quotidiano dei vescovi Avvenire ha ospitato numerose dichiarazioni critiche, soprattutto di esponenti del Nuovo Centro Destra, ormai partito di riferimento delle gerarchie ecclesiastiche. Dichiarazioni che battono il tasto sul diritto dei figli di conoscere la propria origine biologica (che senza fecondazione eterologa non potrebbero ugualmente conoscere, non venendo nemmeno alla luce). Il Movimento per la Vita aggiunge note strappalacrime: “Nel caso dell’eterologa l’abbandono del figlio viene istituzionalizzato ed incoraggiato: si genera deliberatamente per abbandonare”. Il sito ciellino Tempi si domanda a sua volta perché si riconosce alla coppia il diritto di avere un figlio, “ma si limita alla donna la scelta di non accoglierlo prima della nascita”.

E dire che la risposta sarebbe semplice: la coppia può avere un figlio quando entrambi i suoi componenti lo vogliono. Perché, a ben vedere, non è esattamente un problema giuridico: esiste la possibilità di avere figli attraverso lo strumento della fecondazione eterologa, e ci sono coppie che vogliono avvalersene. È diventato un problema legale solo perché è stata promulgata una legge liberticida che glielo nega. Ancora più assurdamente, la legge nega-figli è stata voluta ed è ancora difesa da una casta che figli non ha — e sin qui il ragionamento filerebbe — ma che passa il suo tempo invitando la popolazione a farli. E con motivazioni sempre più discutibili e persino egoistiche: il papa ha sostenuto che i figli sono un migliore antidoto alla solitudine rispetto a cani e gatti. Per contro, il ragionamento laico è più coerente: lascia ai cittadini e alle coppie la scelta (e la possibilità di esercitarla!) di fare o non fare figli.

La palla passa ora al Ministero della Salute, che dovrà attuare la sentenza. E qui cominceranno i problemi. Il ministero è infatti retto (guarda caso) da un altro esponente Ncd, Beatrice Lorenzin, che come consulente sui temi bioetici si avvale (guarda sempre il caso) di un’opinionista di Avvenire. Nei giorni scorsi Assuntina Morresi è stata peraltro incaricata di difendere proprio la legge 40 davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo dal ricorso di Adele Parrillo, che chiede di abrogare il divieto di utilizzare gli embrioni per la ricerca scientifica. Il governo Renzi è dunque a un dilemma bioetico: le larghe intese possono giustificare gli ostacoli posti alla libertà di scelta? Nei prossimi mesi la risposta.

 

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