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Libano, il vuoto istituzionale che salva l’equilibrio

Michel Suleiman lascia il palazzo presidenziale di Baabda lo scorso 24 maggio (AP)

Il Libano è di nuovo intrappolato in un vuoto istituzionale che si preannuncia lungo di mesi e le cui sorti sono legate a doppio filo con la guerra nella vicinissima Siria: il 24 maggio scorso il mandato del presidente della Repubblica Michel Suleiman e il Parlamento non è riuscito finora a eleggere un nuovo capo dello Stato.

Sarà ora l’esecutivo, formatosi nei mesi scorsi anch’esso dopo una lunghissima gestazione, ad assumere i poteri presidenziali fino a quando l’assemblea nazionale non esprimerà un voto qualificato in favore di un candidato.

Come accade da decenni, al voto si arriva però solo dopo lunghi negoziati politico-diplomatici fuori dall’emiciclo di Beirut tra le forze interne ma soprattutto tra le potenze regionali e internazionali.

Lo stesso Suleiman venne eletto nel 2008 solo dopo una crisi politica durata più di un anno e culminata in sanguinosi scontri armati a Beirut e in altre zone del Paese tra miliziani filo-iraniani e pro-regime siriani e loro rivali filo-sauditi. Fu allora un accordo tra Iran, Arabia Saudita e Siria a metter fine allo stallo e alle violenze.

Lo scenario attuale si distingue da quello di sei anni fa per le prolungate violenze in Siria, alle quali partecipano tra gli altri i miliziani del partito sciita libanese Hezbollah – che è presente nel governo – e altre forze affiliate con l’Arabia Saudita.

Ma il braccio di ferro, oggi come ieri, è tra due contrastanti progetti cultural-politici: da una parte l’area di influenza iraniana, di cui il contestato regime siriano è parte integrante, e dall’altra l’area di influenza saudita, sostenuta da Stati Uniti e Francia.

Il governo libanese guidato da Tammam Salam è nato da un compromesso tra le forze locali espressione di queste due macro-realtà. Sulla carta, si confrontano la coalizione filo-occidentale, che propone Samir Geagea come candidato alla presidenza, e la coalizione filo-iraniana, guidata dagli Hezbollah e che sostiene la candidatura di Michel Aoun.

In un Paese dominato dal confessionalismo politico, la carica più alta dello Stato è affidata ai cristiani maroniti, mentre il premier ai sunniti e il presidente del parlamento agli sciiti.

L’attuale vuoto istituzionale non aumenta però i rischi di destabilizzazione di un Paese abituato a rimanere in bilico. Tutte le forze politico-confessionali locali e i loro padrini regionali continuano a non avere interesse ad allargare il raggio della violenza.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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