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Words and pictures di Fred Schepisi

Una sana competizione tra insegnanti, quella di arte (pictures) Juliette Binoche e quello di letteratura (words) Clive Owen. In essa vengono coinvolti i ragazzi, sinceramente animati da cotanti professori. Clive stava addirittura perdendo il posto per scarsa performance a giudizio delle autorità scolastiche – in America succede! – “annegato” nella vodka e in una vita da single tutta genio e sregolatezza, eppure conquistava ancora i ragazzi citando frasi di scrittori (John Updike e Ian McEwan tra gli altri): li spinse perfino a inventare loro stessi nuove parole, che magari si sarebbero diffuse nel linguaggio comune. Questa sì è partecipazione a scuola! Li convince che cercare il significato di un termine nel computer è semplice e sbrigativo, ma cercarlo su un testo può essere più produttivo, si scoprono altre cose, si fanno deduzioni e associazioni di idee.

Dunque un film che sarebbe adatto ai nostri ragazzi italiani, “gli sdraiati” di Michele Serra, si inebrierebbero a osservare che in quella scuola professori e studenti possono anche giudicare gli insegnanti: da noi i sindacati del pubblico impiego si solleverebbero appellandosi alla professionalità ferita. Furono le parole, ricorda Clive (chiamo il personaggio col vero nome dell’attore) a dare inizio a un PaeseUomini creati uguali, diritti inalienabili. Le parole, dice Clive, per tanti semplicemente una successione di lettere utili solo a dir qualcosa, evocano in realtà immagini suoni sensazioni, e sono il prodotto di quella modesta poltiglia (il cervello).

Juliette è l’insegnante di fine art appena arrivata, altra motivatrice degli studenti che si muoveranno con tutta la scuola a organizzare un confronto pubblico, una competizione tra words and pictures, dove alla fine nessuna vince perché si tratta della stessa specie ma generi diversi. L’arte è l’abilità creativa dell’uomo. L’artista prende ciò che vediamo ogni giorno e lo eleva al di sopra dell’ordinario. “Gli uccelli posati sul filo in modo casuale diventano la punteggiatura di una frase invisibile” (Updike). Ogni artista fa proprio il mondo e così facendo lo eleva, e così eleva noi, ci dà una prospettiva più ampia. Ci fa voler essere il nostro meglio, l’Arte: “la più intensa espressione di individualismo che il mondo conosce” (Oscar Wilde).

La singolar tenzone è anche motivo di reinnamoramento tra i due e questa è l’unica parte che a mio parere stona nel contesto. L’ottimo regista australiano Fred Schepisi poteva non appesantire il film, del 2013 ma ovviamente sempre attuale, con una storia d’amore tra i due insegnanti, sarebbe stata sufficiente una buona complice amicizia d’intesa. Altro piccolo appesantimento è la riconciliazione di Clive col figlio, autore di una bellissima poesia: spessissimo nei film made in Usa le cose di cuore alla fine vengono “sistemate”. Sarà perché Schepisi si è trasferito a Hollywood. La motivazione più grossa per mettervi una storia d’amore potrebbe essere quanto Juliette confessa a Clive prima di baciarlo, finalmente, (lei è affetta da una malattia degenerativa agli arti): la vita continua a portarmi via tutto e non so mai quando è l’ultima volta che posso fare qualcosa, di farla pienamente, e se lo è non voglio perdermela. 

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