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We have an Anchor: Fugazi, Silver Mt Zion, Godspeed You! Black Emperor e Dirty Three. Tutti insieme​

Ho comprato il biglietto per vedere We Have An Anchor a Parigi solo perché ho letto un nome, Efrim Manuel Menuck. 

Quindi sono una groupie. Non sapevo cosa fosse il progetto, né tantomeno avevo mai sentito nominare Jem Cohen. 

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Intanto Efrim Menuch uno dei fondatori e il più “famoso” dei membri dei Godspeed You! Black Emperor e dei Thee Silver Mt. Zion Memorial Orchestra. 

Nel caso di We Have An Anchor è sullo stesso palco con Guy Picciotto (Fugazi), Jim White (Dirty Three), Sophie Trudeau (Godspeed You! Black Emperor, Thee Silver Mt. Zion), Jessica Moss (Thee Silver Mt. Zion), Mira Billotte (White Magic) e T. Griffin (The Quavers). 

Quanto bastava per comprare il biglietto? Sì, dai. Mi sono informata, poi. 

We Have An Anchor è un film, non soltanto un film, o anche un film, di Jem Cohen. E’ girato sull’Isola del Capo Bretone, che si trova nella Nuova Scozia, in Canada: le riprese son state fatte per 12 anni e sono costruite da paesaggi e interviste degli abitanti, parti di testo e immagini più o meno astratte dell’isola. C’è anche il fotografo Robert Frank con la moglie, la scultrice June Leaf: la coppia ha vissuto alcuni decenni a Cape Breton. 

Cohen li ha conosciuti negli anni Novanta, seguendo i Fugazi per un concerto. Ha amato quel posto, ha amato la coppia, è tornato regolarmente a trovarli. Il film gli è stato commissionato solo molti anni dopo dall’Empac (Experimental Media and Performing Arts Center) di New York. Dopo aver avuto il finanziamento Cohen è tornato a Cape Breton, ha affittato una casa a Wreck Cove e ci ha portato Griffin, Picciotto e Jim White. Hanno usato la cantina per comporre e scrivere. 

“I don’t pretend for a minute to understand Cape Breton,” dice Cohen. “My approach to the project was that of a deeply interested outsider. That’s the core of what I wanted to do with this. If that’s all you give people, just that experience of nature in a really heavy way, at least you’re getting people off of the little machines and staring at something much bigger, which is ocean and sky and horizon”.

Né la musica né le immagini prendono il sopravvento: sono fatte per stare insieme. Spesso dove finisce la musica inizia un dialogo, dove si interrompe il verso di un gabbiano attacca la batteria. A volte si accompagnano. Un’ora e venti fatta di immagini di Cape Breton senza un filo logico, un tentativo di riportare sensazioni più che di raccontare una storia. E con musiche che non bastano, mai. Ma che quando prendono spazio sono immense. 

Cohen dice che ascoltare questi musicisti insieme è il suono di quello che si prova guidando attraverso una tempesta di neve (”a sound for what it feels like to drive through a snowstorm”).

Jem Cohen (che è nato a Kabul nel 1962) è un regista “specializzato” in paesaggi e musica. O meglio, è un esperto di questo connubio. Ha già lavorato con i REM, con i Fugazi, con i Blonde Redhead, con gli The Ex e con Patty Smith. Ha anche fatto un piccolo film su e con Vic Chesnutt durante la registrazione di At The Cut, l’ultimo suo lavoro prima di morire. 

Di lui il New Yorker dice “His style can frustrate viewers who want more context, explanation, or plot, but at its best it respects both the viewer and the subject in ways that more conventional films don’t—they let you observe for yourself, and resist telling you what to think”. 

Comunque la sua pagina di Wikipedia e il suo sito sono pieni di informazioni se volete approfondire. 

(Ah, va detto che ai miei amici non è piaciuto quanto a me: hanno trovato il film inconsistente a tratti, girato male e, naturalmente, troppa poca musica).

Questo articolo è stato pubblicato qui

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