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Watchmen, Zack Snyder 2009

Watchmen di Zack Snyder, 2009

Avvertenza importante: in questo post c’è tutta una prima lunga parte fatta di premesse. Non lo so perché, ma mi è venuto così. E non è che mi piaccia. Ma tant’è, ormai. Il mio consiglio è ovviamente di leggerlo nel sensato ordine in cui è scritto, ma so che non lo farete.

Quello di cui non parlerà questo post: non spiegherà che cos’è Watchmen, di cosa parla, che temi tratta, cosa racconta, chi è Alan Moore, chi è Dave Gibbons, cosa pensa l’uno o l’altro di questo adattamento cinematografico, non dirà perché il loro graphic novel è uno dei capolavori della letteratura del novecento, perché questo progetto era così atteso e così difficile, e nemmeno soprattutto perché chi non abbia letto il fumetto molto facilmente si potrà trovare sperduto, confuso, e in definitiva deluso di fronte al film da esso tratto.
Se l’avete letto, lo sapete già.

Se non l’avete letto, con tutto il rispetto, sono affari vostri.*

Quello su cui non si soffermerà questo post: non tratterà la materia già abbastanza discussa dell’hype, e di come un parere sbilanciato random possa costruire false aspettative distrutte in seguito da quell’orrendo litigioso demone che chiamiamo soggettività e che qualche essere malvagio vuole spesso spacciarci per incomprensione o ignoranza.
Se non volete leggere un parere sbilanciato, fermatevi qui.
Se leggete e poi però la pensate diversamente da me, con tutto il rispetto, sono affari vostri.*

Quello che questo post ignorerà, per una buona ragione: i film precedenti di Zack Snyder.
Se volete sapere cosa ne penso, ho aperto un blog apposta: e uno, e due.

Quello che non c’è in questo post: spoiler.

Quello che dovete tenere presente semmai voleste leggere questo post: chi vi scrive in questo momento non ha alcuna voglia di essere freddo o oggettivo. Per esempio: chiunque mi conosca bene o legga con assiduità questo blog sa che io aspetto qualche ora, a volte qualche giorno, per scrivere di un film, non perché voglio tirarmela o riflettere - qui non si fa mica analisi dei film - ma volendo scrivere di tutto, spesso gli arretrati si accavallano, e preferisco mantenere un ordine. Stavolta invece sono rientrato in casa e ho cominciato a scrivere, senza sapere dove sarei andato a parare, e ancora adesso non lo so bene. E mi dispiace già in partenza, per questo post, nato menomato: qualunque cosa io scriva, nonostante tutto ciò che non scriverò, non ne scriverò mai abbastanza.

La spiegazione è questa, e la scrivo apposta in questo paragrafo lunghissimo che non leggerà nessuno: non credo di aver mai aspettato un film quanto ho aspettato Watchmen. L’ho aspettato in modo viscerale, ormonale, per anni, fottendomene delle etichette già pronte, dei mille motivi per cui storcere il naso, dei disappunti della prima ora. Ho camminato verso la sala emozionato, dicendo tra me e me adesso vado a vedere il film di Watchmen: ed era veramente tanto tempo che non mi succedeva. Quindi: scindere in questo post un giudizio freddo dalla caratura emozionale esorbitante dell’esperienza in sé, vista e considerata altresì la mia personale e soggettiva ricezione dell’opera d’origine, è assolutamente inutile. Inutile. Potevo aspettare, o potrei riscrivere questo post tra qualche giorno, a mente fredda. Ma davvero: a che pro?



Fine delle premesse. Veniamo al dunque?
Watchmen è meraviglioso. Adesso vi dico il perché.

Prima, però: vi ho visti. Il paragrafo precedente l’avete cercato e l’avete letto prima di tutti gli altri. Bene.
Se non vi basta, ricominciate pure da capo, se vi va.
Se vi basta, vi capisco, io stesso avrei cercato solo quello. Potete chiudere la finestra.*

Quello che ha fatto Snyder in questo film è presto detto: ha preso un’opera grande e magniloquente che alla sua grandezza e magniloquenza si è vista aggiungere addosso nel corso degli anni l’alone pesante del culto che l’ha resa addirittura ingombrante, e ne ha fatto un film che riesce, non so spiegarmi come, ad essere sia la trascrizione quasi letterale del libro, da ogni punto di vista (parliamo di dati oggettivi: costruzione delle inquadrature, persino movimenti di macchina, ovviamente dialoghi, "Doctor, I am Pagliacci", "I’m not a comic book villain", e via dicendo), e sia, allo stesso tempo, una lettura personale, con uno stile riconoscibile ma maturato, e comunque vorticoso e fiammeggiante, che ne sottolinea e ne fa emergere ancora di più la sua inquietante attualità.

E lo fa in ogni passaggio, a partire dai titoli di testa - che, lasciatemelo dire, sono tra gli opening credits più formidabili degli ultimi anni: geniali, ironici, sintetici, perfetti fino alla commozione - ma la sua strategia si esprime in modo più evidente attraverso la colonna sonora. E’ incredibile infatti come le scelte musicali del film, che appaiano inaspettate, curiosamente azzeccate oppure (una in particolare) bizzarre e quasi irraccontabili, riescano a plasmare la materia che si supponeva fosse immutabile, e che come tale effettivamente appare a orecchie tappate, trasformando Watchmen in qualcosa di diverso, mutandone i toni - mutandolo in qualcosa che, non riesco a trattenermi, mi entusiasma.

Fino a quando arriva il momento in cui Snyder e i suoi sceneggiatori si sono confrontati con l’effettivo dilemma dell’adattamento: ma la breve deviazione narrativa con cui il film si distacca dal libro, poco prima della fine (succede: fatevene una ragione) risulta non soltanto naturale ma, a quel punto, quasi necessaria. Altro che lesa maestà. Nel mio entusiasmo pregiudiziale, quasi fanciullesco, questa era l’unica cosa che, sbagliandomi, mi faceva davvero paura - senza dubbio mi faceva molta più paura che quattro combattimenti al ralenti o la supposta cessione a dinamiche da action movie.

E sì, vi vengo incontro: Watchmen non è un action movie, e non si comporta come tale - è semmai quello che deve essere, e punto: un film lacerante ed emozionante, lungo, densissimo, impegnativo, sull’identità e sulla natura umana in cui ogni tanto la gente si picchia. E le battaglie ci sono: ma narrativamente marginali, come da copione (leggi: libro) e nonostante siano girate con hollywoodiana professionalità, non si pensi a zuccherini buttati perché le masse ingoino l’amaro ricino dei monologhi di Rorschach. Sono duelli corpo a corpo, calci, pugni, corpi pesanti contro corpi pesanti (che si fanno all’improvviso leggiadri come l’aria) (e poi ancora pesanti come l’acciaio), ferite sanguinanti, arti mozzati, sangue dannazione, sangue a fiotti.

Perché Watchmen è un film violento, inauditamente violento, soprattutto se si guarda a quei colorati costumi di latex, ai colori dominanti nei vestiti, nelle insegne al neon, nella pubblicistica persino, e sulla luminosa silenziosa superficie di Marte. Perché Watchmen, il film, è in realtà nero, cupissimo, disperato - cupo come il cielo plumbeo pieno di pioggia che ricopre New York, disperato come un pianeta già morto, e destinato all’Armageddon, un pianeta che si può salvare soltanto camminando inerti e in lacrime sui resti inceneriti dei cadaveri, piangendo per uno di loro, in ginocchio sulla neve - e per ciascuno di loro, per il resto della propria vita.

Lo so che vi piacerebbe un finale beffardo, aperto, in cui si scopre che invece il film mi aveva fatto schifo e vi stavo prendendo in giro, e invece il mio post su Watchmen non è Watchmen, vivaddio, e finisce qui.*


*si è sempre in tempo a cambiare idea.

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