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Warm Bodies, se l’amore cura gli zombie

Se vi aspettavate una cagata siete fuori strada (del resto anche se vi aspettavate un capolavoro siete fuori strada) perché Warm Bodies è un buon film, che gioca molto sull’ironia e strizza l’occhio (a volte troppo) al romanticismo.

La storia è quella del libro di Isaac Marion, con i dovuti accorgimenti, ma Jonathan Levine la estremizza nei suoi aspetti più caratteristici. Cresce l’ironia ma crescono anche i momenti sdolcinati.

R è uno zombie ma l’incontro con Julie (si, R & Julie!) fa scattare qualcosa in lui che lo umanizza e i due provano a far capire al resto degli uomini che forse gli zombie possono cambiare.

Le sequenze iniziali in aeroporto sono ben fatte, corrette e la voce narrante di R aiuta a creare la giusta ironia, soprattutto se sommata alle espressioni davvero curiose di Nicholas Hoult. Poi il film scorre via leggero, tra una colonna sonora ben scelta (ed anche qui ci sono momenti quasi esilaranti) e qualche testa che scoppia.

In realtà di horror ce n’è pochino se si escludono le rare apparizioni dei cattivissimi ossuti.
Teresa Palmer è giovane e bionda ma davvero ricorda un po’ troppo (fisicamente!) Kristen Stewart.
Chi ci perde parecchio rispetto al libro è il personaggio del padre di Julie, che lì aveva un ruolo da cattivo senza pietà e qui viene parecchio smorzato e ridimensionato, pur se il ruolo viene affidato a John Malkovich, mica ciccioli!

Il risultato è un buon film che si destreggia tra ironia e romanticismo esagerato, c’era forse spazio per sviluppare meglio alcuni aspetti.

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