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Vitamina D e benefici per la salute: un breve stato dell’arte

Molte sono le ricerche scientifiche che indagano quali siano i livelli ottimali di vitamina D e quale la supplementazione adeguata. Una recente revisione della letteratura clinica apparsa sul Journal of the American Osteopathic Association fa il punto sulla situazione.

 di Federica Lavarini

SALUTE – La conseguenza forse più nota della carenza di vitamina D è il rachitismo, una grave malattia dell’apparato scheletrico molto diffusa nei paesi in via di sviluppo. Le conoscenze degli ultimi decenni hanno messo in luce come molti altri tessuti del nostro corpo siano dotati di recettori in grado di produrre vitamina D, aprendo nuovi scenari sia diagnostici che terapeutici nel campo della medicina.

Secondo una revisione della letteratura pubblicata nel 2007 sul New England Journal of Medicinemiliardo di persone al mondo soffre di carenza o insufficienza di vitamina D dovuta a una scarsa esposizione ai raggi solari o a carenze nutrizionali. In generale, le persone che vivono al di sopra del 37° parallelo, durante l’inverno non ricevono un’irradiazione solare sufficiente a produrre vitamina D, ma anche malattie che ne riducono l’assorbimento nell’intestino possono portare a carenze importanti. Tra queste, il morbo di Crohn, la celiachia, l’epatite cronica, la fibrosi cistica, il diabete mellito. Vi sono poi altre malattie, come la sclerosi multipla e alcune malattie autoimmuni e respiratorie, per cui sono in corso da tempo studi sul possibile ruolo patogenetico della carenza di vitamina D.

La maggior parte degli studi considera un individuo carente di vitamina D quando i livelli ematici di calcidiolo (o 25-idrossicolecalciferolo), una sostanza prodotta dal fegato responsabile della produzione di questa vitamina, sono inferiori a 20 nanogrammi per millilitro.

Molte sono le ricerche scientifiche che indagano quali siano i livelli ottimali di vitamina D e quale la supplementazione adeguata. Una recente revisione della letteratura clinica apparsa sul Journal of the American Osteopathic Association ha concluso come non sia ancora del tutto univoco il rapporto tra supplementazione di questo nutriente e benefici sulla salute dell’individuo. Tuttavia, nelle persone a rischio di carenza sarebbe raccomandata una supplementazione di 50.000 UI (unità internazionali) alla settimana o 6.000 UI al giorno, anche se nono sono ancora del tutto chiari i possibili ulteriori benefici dell’integrazione vitaminica.

Una risposta potrebbe arrivare dal Vitamin D and Omega 3 Trial (VITAL), uno studio clinico in corso coordinato dal Brigham and Women’s Hospital e finanziato dal National Institute of Health (NIH) di cui si attendono i risultati nel 2020. Lo studio coinvolge 25.874 persone over-50 in tutti gli Stati Uniti e ha l’obiettivo di capire se una supplementazione quotidiana di vitamina D3(2000 UI), in combinazione o meno con grassi Omega-3 (nello specifico Omacor®, olio di pesce, 1 grammo), riduca il rischio di sviluppare cancro, patologie cardiache e ictus in persone che non hanno familiarità con queste malattie.

In generale, per aumentare e mantenere livelli ottimali di vitamina D quando la carenza è dovuta a malassorbimento intestinale, possono essere sufficienti dai cinque ai trenta minuti al giorno di esposizione solare a mezzogiorno con una protezione solare non superiore a 15, pena la totale riduzione di vitamina D3. “La maggior parte delle persone passa sempre meno tempo all’aria aperta o utilizza creme solari che annullano i benefici dell’esposizione al sole” afferma Kim Pfotenhauer della Touro University, autrice dello studio sul Journal of the American Osteopathic Association.

“Se l’uso di queste creme è necessario per prevenire il cancro alla pelle – continua – , vi sono tuttavia livelli moderati di esposizione solare che sono di grande aiuto nella produzione di vitamina D. Non è necessario andare in spiaggia, ma semplicemente camminare con gambe e braccia esposte al sole per non più di mezzora al giorno a seconda della latitudine e del grado individuale di pigmentazione della pelle”.

Crediti d'immagine Pixabay

Questo articolo è stato pubblicato qui

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