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Violenza sessuale: annullata condanna per fornicazione alle Maldive

Ricordate la quindicenne delle isole Maldive che a febbraio era stata condannata a 100 frustate e otto mesi di arresti domiciliari per “fornicazione”? Ne demmo notizia qui e la vicenda, giustamente, suscitò l’indignazione dei nostri lettori.
 
La giustizia maldiviana, pensando di evitare troppe polemiche, aveva tenuto a precisare che l’imputata era stata condannata per aver fatto sesso con un uomo diverso dal patrigno che l’aveva violentata per anni. Questi, peraltro, era stato poi incriminato per violenza sessuale (oltre che per omicidio, dopo aver ucciso e sepolto il neonato frutto dello stupro; la madre è stata incriminata per occultamento di cadavere).
 
All’indignazione seguì una campagna internazionale, promossa da Amnesty International e da altre organizzazioni per i diritti umani, che alla fine di agosto ha ottenuto il risultato sperato: la condanna è stata annullata
 
Un risultato importante, che ha impedito che al trauma psicologico di una ragazzina ripetutamente stuprata dal patrigno e per questo rimasta incinta seguisse anche la tortura fisica.
 
Il passo successivo dev’essere quello di abolire una legge assurda, che punisce un “reato” non riconosciuto dal diritto internazionale con una sanzione disumana e che serve – secondo quanto dichiarò all’epoca della condanna della quindicenne – a “far provare vergogna” per il comportamento avuto.
 
“Far provare vergogna” quasi sempre alle donne, dato che – secondo gli ultimi dati ufficiali disponibili, che risalgono al 2011 – 9 condanne su 10 per “fornicazione” sono emesse nei loro confronti.
 
Speriamo che le nuove autorità delle Maldive (dopodomani si tengono le prime elezioni dalla deposizione del presidente Mohamed Nasheed) si convincano ad abolire questa sanzione e a convenire sul fatto che le donne e le ragazze che hanno subito violenza sessuale devono essere assistite e non condannate alle frustate.
Questo articolo è stato pubblicato qui

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