Vignette danesi: Ahmed Akkari, nel 2005 alla testa delle proteste, oggi si scusa
Sul quotidiano danese Jyllands-Posten, nel settembre del 2005, furono pubblicate alcune vignette satiriche su Maometto e l’islam, creando una lunga scia di polemiche e proteste in tutto il mondo musulmano.
La dottrina islamica infatti vieta anche solo la raffigurazione del profeta, figuriamoci fare dell’ironia. Il giornale, che si era scusato con i credenti indispettiti ma aveva rivendicato la libertà di pubblicazione, venne scagionato dall’accusa di aver offeso la religione. Ma gli strascichi sono continuati, tanto che nel 2011 venne sventato un attentato da parte di alcuni integralisti. Uno dei disegnatori, Lars Vilks, venne aggredito e alcuni estremisti ne avevano pianificato l’omicidio.
Ora uno degli esponenti islamici più in vista si scusa per l’accanimento contro il giornale. È Ahmed Akkari, all’epoca imam e portavoce dell’Islamisk Trossamfund: uno dei gruppi che più contribuì ad infiammare la campagna internazionale contro le vignette. Ora trentacinquenne, dice di aver maturato questa nuova prospettiva grazie al pensiero illuminista e all’accettazione dei valori democratici. Proprio lui, che quasi dieci anni prima si era tanto impegnato per fare pressing sulla Danimarca e aveva viaggiato nei paesi del Medio Oriente aizzando gli integralisti.
Akkari, intervistato dalla stampa danese, adesso riconosce che il giornale aveva il diritto di pubblicare le vignette.
“Oggi voglio essere perfettamente chiaro sullo scopo del mio viaggio”, afferma riferendosi alla tournée integralista nei paesi arabi: “era sbagliato” del tutto. “Il mondo non ha bisogno di limitare l’espressione umana”, aggiunge, “e questo vale anche per le persone con cui non sei d’accordo”. “C’era qualcosa che era fortemente radicato nella mentalità del gruppo al quale appartenevo, che non avevo notato. C’era questa idea fondamentale secondo cui alle persone non è permesso di esprimersi liberamente”, spiega, “e questo è proprio sbagliato”.
Esprime inoltre il suo apprezzamento per paesi come quelli scandinavi, il Canada e l’Australia, criticando le società più confessionali: “Deve esserci qualcosa di sbagliato nelle società dove, nel nome della religione, gli individui sono spogliati del loro diritto alla libertà di espressione”. Si rivolge poi agli islamici più integralisti che vivono in Danimarca: “Dovrebbero capire che il paese in cui vivono ha delle regole”, altrimenti “dovrebbero trovare un altro posto con cui possono meglio identificarsi”.
Il suo dispiacere non può far tornare indietro le lancette dell’orologio, far tornare in vita chi è morto e ridare la tranquillità e la sicurezza a tutti coloro che l’hanno persa per una vicenda così assurda. Le dichiarazioni di Ahmed Akkari possono però quantomeno rappresentare un monito per tutti coloro che vogliono far leva su un’identità religiosa per fomentare disordini.
La sua storia personale è indicativa di come una fetta di giovani passi all’integralismo religioso come forma di malinteso anticonformismo idealista e di come ciò porti a vedere il mondo in bianco e nero, per esigenza di purezza o di risposte definitive.
Come avvenuto per un italiano convertitosi all’islam e morto in Siria, Luigi Delnevo, ma anche come accade in forme pacifiche per i cattolici. Akkari è nato in Libano, ma cresce in Danimarca dove la sua famiglia si trasferisce quando è ancora piccolo. Diventa molto religioso anche come forma di protesta nei confronti della società danese nella quale non si sente integrato. Poi è esponente di un’associazione integralista, ma col passare degli anni se ne allontana sviluppando una sensibilità più aperta e laica. Il cambiamento avviene lentamente, in Groenlandia, dove nel 2008 si trasferisce per fare l’insegnante di scuola: qui comincia a interessarsi ai pensatori illuministi francesi e americani, cambia il suo approccio alla vita e allarga i suoi orizzonti.
La religione è un combustibile estremamente infiammabile e il mondo ha bisogno di pompieri, piuttosto che di piromani. Ma le comunità di fede sono troppo spesso in mano ai secondi, anziché ai primi.
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