• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Mondo > Vigilia di tensione in Tibet

Vigilia di tensione in Tibet

Sale la tensione in Tibet alla vigilia del 50esimo anniversario della più grande rivolta contro l’occupazione cinese. Un evento altamente simbolico per la resistenza tibetana. Era il 10 marzo 1959 e la rivolta si concluse con una sanguinosa repressione ad opera dell’esercito cinese e con la fuga in esilio del Dalai Lama. Ora il regime teme che si ripetano le proteste scoppiate il 10 marzo di un anno fa, quando a seguito dell’arresto di centinaia di monaci migliaia di dimostranti riempirono le strade e attirarono l’attenzione dei media di tutto il mondo. I movimenti dei tibetani in esilio in India hanno annunciato «manifestazioni spettacolari» per commemorare l’anniversario.

Per questo, Lhasa e le altre città tibetane sono militarizzate. Rigidissimi i controlli di polizia ed esercito per le strade. Truppe schierate alle frontiere. Ieri i primi scontri, nella provincia tibetana del Qinghai, tra alcune decine di manifestanti e la polizia. Questa mattina un’auto della polizia e un autocarro dei pompieri sono stati fatti saltare con l’esplosivo. Sempre nella provincia del Qinghai più di cento monaci del monastero tibetano di An Tuo, un terzo dei circa 300 che vi abitano, sono stati arrestati dopo una manifestazione tenuta in occasione del capodanno tibetano, celebrato il 25 febbraio. Per aver intervistato alcuni monaci nel Quinghai sono stati fermati e interrogati oggi, per 3 ore, due giornalisti italiani.

Robert J. Barnett, un esperto di Tibet intervistato dal Council on Foreign Relations, conferma che il governo è piuttosto «nervoso» per la ricorrenza di domani. Pechino «sperava in una luna di miele» con l’amministrazione Obama dopo la recente visita del segretario di Stato Hillary Clinton, ma le sue speranze rischiano di rimanere disattese se dovesse esplodere di nuovo la situazione in Tibet. I contrasti sul Tibet «potrebbero essere risolti», ma il governo cinese deve fare di più, secondo Barnett, che indica due ordini di problemi, uno dei quali Pechino dovrebbe affrontare subito perché insostenibile:

The easy way for the Chinese to solve it, if they wanted to, is to break the Tibetan problem into two kinds of issues. They should separate the difficult talks about autonomy and the Dalai Lama’s status, which they’re nervous about, from the easy issues, which are about religion, and migration, and development. Lots of Tibetans in Tibet have told them, "Stop demonizing the Dalai Lama, allow people to practice religion, and regulate the migration of non-Tibetans into the area." That’s pretty straightforward. Every other country in the world does that almost normatively. So these are the easy ways it could build up huge political capital very very quickly in Tibet, and that would be welcomed. The question is, does China have the political will that allows the leaders to take that kind of step? I think they will have to do that. It’s unsustainable, keeping one-third of your country under military garrison every so often.
Ma intanto è ancora in atto la campagna del regime contro il Dalai Lama, dipinto come terrorista e separatista. Il presidente cinese Hu Jintao ha esortato i funzionari tibetani a erigere una nuova «Grande muraglia contro il separatismo».


Ieri pomeriggio, intervenendo alla presentazione del rapporto dello European Council on Foreign Relation sui rapporti tra Unione europea a Cina, il ministro degli Esteri Frattini ci ha spiegato che «dobbiamo considerare la Cina come partner politico e strategico complessivo, non solo economico». Solo così potremo parlare di diritti umani con Pechino: «Se vogliamo avere una prospettiva realistica di incidere sui diritti umani la Cina deve essere un attore con cui si parla di tutto. Credo che su alcune tematiche la Cina sia troppo poco consultata».

Al prossimo vertice Ue-Cina ci sarà «una riflessione congiunta sulla governance non solo economica ma anche politica». In questo modo, «avremo una leva maggiore per ragionare di diritti umani e per favorire una ripresa del dialogo tra i la Cina e i rappresentanti del Dalai Lama». Staremo a vedere, ma a questo dialogo sembrano crederci in pochi.

Intanto, il dissidente cinese Bao Tong, tra i firmatari di Charta ’08 ed ex membro del Comitato centrale comunista prima del massacro di Tienanmen, si rivolge ai delegati dell’Assemblea nazionale con una lettera aperta (trad. di Asianews) nella quale avverte che «il potere assoluto del Partito soffocherà il popolo e l’economia».

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares