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La vera equità? Ricalcolare le pensioni d’oro

Com'è noto le pensioni d'oro costituiscono uno scandalo tutto italiano, che ha contribuito non poco al dissesto delle nostre finanze e all'esplosione del debito pubblico. Si tratta di assegni molto cospicui: 90 mila, 150 mila, 200 mila euro lordi l'anno e oltre (senza considerare chi cumula fino a tre trattamenti).

Ne usufruiscono, spesso a partire da un'età non molto avanzata (ben prima dei 60 anni, a volte persino prima dei 50), soprattutto gli appartenenti alle varie "caste" statali: manager pubblici, uomini delle istituzioni, magistrati, professori universitari. A tutti gli effetti pensioni d'oro anche quegli assegni più modesti ma percepiti fin da una "tenera" età: le famigerate baby-pensioni ai trenta-quarantenni. Abbiamo smesso da tempo di concederne di nuove, ma un esercito di persone continua a percepirle.

Una proposta concreta per limitare almeno i casi più osceni di tale fenomeno non è giunta dal governo dei professori impegnato nella spending review, ma da un deputato del Pdl, Guido Crosetto: un "tetto" di 6 mila euro netti mensili alle pensioni «erogate in base al sistema retributivo», e di 10 mila in caso di "cumulo" di più trattamenti pensionistici con gestioni previdenziali pubbliche, ovviamente «fatti salvi le pensioni e i vitalizi corrisposti esclusivamente in base al sistema contributivo».

La proposta era contenuta in un emendamento al decreto sulla revisione della spesa (quello con la nomina di Enrico Bondi a commissario), all'esame delle commissioni Affari costituzionali e Bilancio della Camera. Il governo Monti però ha stoppato in commissione l'emendamento Crosetto, impegnandosi ad affrontare il tema nel decreto con i primi veri tagli della spending review, che dovrebbe essere varato dal Consiglio dei ministri la prossima settimana. Il sospetto è che "burocrate non taglia pensione a burocrate", ma è certo che sui tagli alla spesa pubblica in generale, e le pensioni d'oro in particolare, il governo si gioca la faccia con l'opinione pubblica ma anche con l'Europa.

Il tema delle pensioni d'oro era stato soltanto sfiorato dalla riforma delle pensioni approvata a dicembre, con lo stop temporaneo alla rivalutazione degli assegni oltre i 1.400 euro (non così dorati) e i contributi di solidarietà del 5, 10 e 15% rispettivamente sui trattamenti oltre i 90 mila, i 150 mila e i 200 mila euro lordi.

Misure una tantum che però non hanno tenuto in alcuna considerazione il modo in cui questi "tesoretti" si sono formati nel tempo. Molto difficile arrivare a guadagnarsi una pensione così dorata con il sistema contributivo. La maggior parte di esse, infatti, sono maturate sotto il regime retributivo o misto.

Il modo più equo per intervenire non è certo imponendo contributi di solidarietà indiscriminati, né "tetti" validi per tutti, ma procedere ad un ricalcolo delle pensioni d'oro sulla base dei contributi effettivamente versati, fissando una soglia di esclusione (per esempio, 3-4.000 euro lordi mensili), al di sotto della quale non si effettua il ricalcolo e, per coloro che la superano, non potrà scendere il nuovo assegno. Il risultato sarebbe quello di debellare l'oscenità delle pensioni d'oro, ma secondo un criterio di merito, per cui avrà comunque di più chi ha versato più contributi.

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