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Via Fani. Quel parabrezza intatto e le tante inesattezze

Tra le tante fotografie scattate in via Mario Fani la sciagurata mattina del 16 marzo 1978 è possibile vedere in modo chiaro ed inequivocabile il famoso parabrezza del motorino modello "Piaggio Boxer" dell’ingegner Alessandro Marini.

Un parabrezza che è stato per anni l’archè di tutte le ricostruzioni poco chiare e farraginose dell’agguato in cui venne rapito Aldo Moro e che costò la vita ai suoi cinque agenti di scorta. Marini denunciò di essere stato bersaglio di una “sventagliata di mitra” da parte di due uomini che erano a bordo di una moto Honda di grossa cilindrata. Le sue dichiarazioni erano da sempre state giudicate inquietanti, perché i brigatisti avevano sempre negato la presenza della moto Honda in via Fani.

Da quest’ultima foto ben visibile in alto è facile capire come il parabrezza è intatto e non fu bersaglio di nessun colpo di mitra. Possiamo solo notare una vistosa lastra di scotch in quanto, per stessa ammissione di Marini, il parabrezza si era già rotto nei giorni precedenti e lui stesso aveva provveduto a ripararlo. A questo punto tutta la testimonianza dell’ingegnere che ha dato fiato alle migliori trombe complottistiche sulla ricostruzione di via Fani risulta inattendibile.

Libri , film e anche la fumettistica hanno fatto da cornice a questo quadro fantasioso campito dai colori di un inesistente mistero. Recentemente anche il sociologo Gianremo Armen , nella sua pubblicazione “Questi Fantasmi” giunge alla conclusione della totale inaffidabilità delle dichiarazioni di Marini. A questo punto dovremmo chiederci se dopo ben 37 anni il dramma di sei persone uccise si stata troppo spesso fatta con estrema approssimazione e spesso fondata su prove inesistenti. Ma lo sappiamo, non sono bastati cinque processi , trentadue ergastoli e le confessioni di chi si è assunto la responsabilità della tragedia dell’ Affaire Moro. Siamo in Italia: “The show must go on “.

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