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Urla e insulti agli Azzurri, nel solco della tradizione italica

Gli Azzurri, di ritorno dal Sudafrica, sono stati duramente contestati all’aeroporto di Fiumicino da un gruppo di tifosi.

Erano gli stessi che quattro anni fa riempivano i campioni del mondo di lodi sperticate e forse eccessive. Gli stessi che sarebbero saliti sul carro dei vincitori, se avessimo trionfato come 4 anni fa.

Urla e insulti agli Azzurri, nel solco della tradizione italica

Nel solco della tradizione italica, un gruppo di giovanotti romani (nemmeno poi tanti) ha accolto la nostra nazionale con urla e insulti. Al grido di "vergognatevi" e "ci avete umiliato", si è sfiorato il contatto fisico all’uscita dell’aeroporto di Fiumicino, in particolare quando l’ormai ex ct Marcello Lippi ha raggiunto la sua auto.

Fa specie che questi ragazzotti sentano così alto il sentimento nazionale da svegliarsi di primo mattino per andare ad insultare dei coetanei che giocano al calcio.

L’augurio è che lo facciano anche all’uscita del Parlamento con i politici che rubano e che vanno a mignotte, con quelli che siedono alla Camera solo per riscaldare gli scranni o che mangiano sugli appalti, con quelli che non riescono a dare servzi decenti alle comuità che amministrano, che fanno scempio della nostra scuola, del nostro servizio sanitario, dell’ambiente.

Allora sì, che sarebbe giustificata anche una protesta contro i calciatori.

L’augurio è che quei ragazzotti sentano così alto il sentimento italiano da difenderlo in ogni circostanza: pagando le tasse, rispettando le leggi, salvaguardando il paesaggio naturale, le nostre coste e i nostri musei, denunciando i criminali, difendendo i deboli.

Se provano vergogna e umiliazione per una sconfitta a pallone, ci auguriamo che provino lo stesso senso di vergogna e umiliazione (anzi, più alto) sentendo che all’estero il loro paese è conosciuto per l’altissima presenza mafiosa, per lo scarso livello di libertà e democrazia, per l’atavica maleducazione dei suoi abitanti, per lo scarso senso del bene comune.

Temiamo però che non sia così.

In un paese dove siamo tutti bravi a correre in soccorso del vincitore, forti coi deboli e deboli coi forti, dove ci commuoviamo per un cagnolino alla tv e passiamo indifferenti davanti ai barboni che vivono sotto casa nostra, le manifestazioni di giubilo e di protesta portano sempre con sè un senso di ottusità.

D’altronde, ne siamo certi, quegli stessi giovanotti che urlavano "Vergogna" (ma vergogna di che? Di essere meno forti, meno bravi, meno organizzati, infine meno fortunati degli altri nel mondo del pallone?) sono gli stessi che sarebbero corsi in strada a fare caroselli con la faccia dipinta se Pepe avesse buttato dentro quel pallone al 96esimo minuto.

D’altronde, non è la prima volta. Dopo un ventennio in cui eravamo stati tutti fascisti, il nove settembre del ’43 non si trovava un fascista nemmeno a pagarlo a peso d’oro. E dopo aver mangiato insieme ai socialisti, eravamo tutti con le monetine in mano, quel giorno, all’uscita dell’Hotel Raphael, salvo poi dimenticarcene e trasformare - al primo soffio di vento - un latitante in un esule prossimo alla santificazione.

E allora chiudiamo gli occhi e facciamo finta di niente.

Questi sono gli Italiani, inutile nasconderlo. Questi siamo noi.

 

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