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Una mobilità nuova per la città Smart: veicoli elettrici e sistemi di accumulo

Sempre più spesso il concetto di mobilità sostenibile viene affiancato a quello di Smart City. Il settore dei trasporti rappresenta infatti una delle principali aree di intervento per migliorare la vivibilità delle nostre città, sia in termini di accessibilità e di disponibilità degli spazi urbani che di impatto ambientale. Se per decongestionare le nostre città da un eccessivo traffico si cerca quindi di promuovere presso i cittadini nuove iniziative mirate alla diffusione di modalità di trasporto più “leggere” (es. bike sharing, car sharing), per far fronte alle problematiche ambientali si mira a promuovere l’acquisto di nuovi veicoli elettrici e ibridi, le cui vendite stentano però a decollare. 

Intervista al Prof. Romano Giglioli

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Romano Giglioli
Professore Ordinario di Sistemi Elettrici per l’Energia, DESTEC - Dipartimento di Ingegneria dell’Energia, dei Sistemi, del Territorio e delle Costruzioni - Università di Pisa

Prof. Giglioli, qual è, a suo parere, la causa principale di questo scarso successo sul mercato?

Riprendendo la premessa, inizierei col precisare che gli aspetti ambientali legati alla mobilità possono essere divisi in due grandi categorie: quelli locali e quelli globali. L’aspetto locale riguarda l’inquinamento derivante dall’uso e dall’esposizione alle emissioni cui siamo sottoposti nella nostra vita quotidiana. Tali emissioni naturalmente si possono ridurre se utilizziamo veicoli meno inquinanti, sia sul piano chimico, che sul piano fisico (rumore e quant’altro). L’aspetto globale riguarda, in primo luogo, l’emissione di gas climalteranti come l’anidride carbonica sottoprodotto della combustione di combustibili fossili.

Entrambi possono essere ridotti o annullati con l’utilizzo di veicoli a propulsione elettrica e da come si produce l’energia elettrica. Per quanto riguarda l’aspetto della mobilità, oltre alle criticità di tipo ambientale, vi sono anche problemi legati alla fruibilità degli spazi in città. Le congestioni divengono infatti sempre più frequenti e di maggior durata e ciò dipende anche dai mezzi di trasporto che si utilizzano. Anche in questo caso è comunque bene suddividere il trasporto urbano in due grandi categorie: quello collettivo e quello singolo/personale.

Se da un lato incrementando il trasporto collettivo è possibile migliorare la fruibilità degli spazi e ridurre i tempi di spostamento, dall’altro bisogna agire sulla mobilità singola inducendo ad un cambiamento nella scelta dei mezzi di trasporto.

Si parla quindi di mobilità leggera, dove il termine leggero sta ad indicare l’utilizzo di veicoli in cui il rapporto tra il peso di ciò che è trasporto rispetto al peso complessivo, veicolo più trasportato, sia vicino all’unità. Ridurre il peso dei mezzi è quindi il primo modo per migliorare la mobilità urbana sia sul fronte energetico (l'energia richiesta per movimentare un mezzo è proporzionale al suo peso per basse velocità come quelle medie urbane) che sul fronte ambientale.

Mobilità sostenibile

Un altro aspetto da considerare, quando si parla di mobilità leggera, è l’occupazione dello spazio. In questo senso, occorre in primo luogo utilizzare meglio le infrastrutture esistenti. Vi è poi il problema dei centri storici, ovviamente dimensionati per una mobilità molto più piccola rispetto a quella che oggi viene normalmente esercita. Per questo è molto importante combinare una mobilità collettiva ben organizzata a mezzi trasporto leggeri e poco ingombranti.

Naturalmente si dovrebbe anche pensare a sistemi misti che leghino la mobilità collettiva a quella personale attraverso dei nodi di interscambio dai quali è possibile accedere facilmente ad un mezzo collettivo o ad un mezzo in comproprietà o couso. Parliamo ad esempio del bike sharing o del car sharing per muoversi in città senza veicoli di proprietà. Tutto ciò dipende però da una forte capacità gestionale.

Parlando di auto elettrica possiamo quindi dire che rappresenta una buona soluzione per far fronte all’impatto locale, ma diversa è la situazione se si parla di impatto globale. L’auto elettrica può infatti rappresentare una soluzione parziale se l’energia primaria proviene da una fonte fossile, e viceversa una soluzione totale se si parte da fonti rinnovabili.

Ma perché non sta avendo successo?
In generale l’auto elettrica ha scarso successo perché di fatto presenta due inconvenienti: una limitata autonomia ed un maggiore costo a parità di prestazioni. Questi due elementi sono sfavorevoli nei confronti di una competizione di mercato. A suo vantaggio vi è però un costo di esercizio molto più basso rispetto a quello dei veicoli con motore a combustione interna. Quindi, per valutarne l’effettiva competitività sul mercato, andrebbero comparati il costo di investimento/acquisto e la più scarsa autonomia con un miglioramento notevole del costo di esercizio. Un ragionamento purtroppo non comune: la scelta del veicolo è nella maggior parte dei casi fatta solo sul costo d’acquisto.

Auto elettrica

La transizione verso il veicolo elettrico non sta avvenendo attraverso un consistente incremento della diffusione dell’elettrico puro, bensì tramite un importante incremento di veicoli a propulsione ibrida. Il concetto di ibrido, così come oggi prodotto, nasce con l’introduzione nel sistema di propulsione di un accumulo di tipo gestionale in grado di migliorare molto l’esercizio del veicolo. In particolar modo parliamo dell’efficienza energetica complessiva del veicolo, dei vantaggi derivanti dal recupero in frenata e della flessibilità garantita in situazioni di frequente stop and go.

Nel classico motore a combustione interna, infatti, in fase di frenata si ha una conversione di tipo unidirezionale e la frenatura avviene per dissipazione dell’energia mentre, con l’introduzione di un sistema elettrico con accumulo bidirezionale, questa energia può essere in parte recuperata. Questo migliora sicuramente l’esercizio energetico del veicolo ed in più consente al motore di funzionare in punti di lavoro a più alta efficienza. Si hanno inoltre dei benefici anche sul fronte delle dimensioni del motore a combustione interna. Ad oggi infatti, laddove vi è la necessità di accelerazioni elevate, i motori a combustione interna devono aumentare di molto la loro potenza e conseguentemente la loro dimensione. Il motore elettrico, invece, ha una coppia meccanica elevata anche a velocità zero consentendo, pertanto di ridurre la potenza del motore a combustione interna. Con una potenza più piccola il motore a combustione interna funziona mediamente in punti di lavoro a più alta efficienza. In sostanza la propulsione ibrida consente di migliorare molto l’efficienza energetica del veicolo con un incremento del costo molto limitato.

Per tutti questi aspetti ritengo che l’ibrido avrà un’ampia diffusione, che di fatto è già avvenuta. Ad oggi sono più di 5 milioni le vendite e tutte le grandi case costruttrici hanno a listino degli ibridi, prima tra tutte la Toyota, antesignano di questa tecnologia sul piano industriale. Il passaggio all’ibrido permetterà poi di lavorare anche sulle tecnologie degli accumuli e della parte elettrica in termini di motore e convertitori di bordo. I miglioramenti che ne deriveranno contribuiranno ad accrescere i volumi di produzione attirando nuovi investimenti da un lato e riducendo i costi dall’altro. Questo ne faciliterà la penetrazione e la diffusione trainando anche lo sviluppo dei veicoli elettrici.

Una tappa intermedia è invece rappresentata dal cosiddetto plug-in che ha un accumulo dell’energia elettrica con la possibilità di ricaricarlo prelevando l’energia elettrica da una rete di distribuzione. In sostanza si hanno a bordo due serbatoi, uno di combustibile ed uno di energia elettrica con la possibilità di utilizzare l’energia elettrica per effettuare gli spostamenti negli ambienti più critici in termini di inquinamento e/o di mobilità con velocità molto variabili. In generale la quantità di energia elettrica accumulata in un veicolo plug-in è sufficiente per risolvere il problema quotidiano degli spostamenti in città.

L’ibrido plug-in rappresenta quindi un altro importante passo per una mobilità sostenibile e consente di avere una mobilità elettrica in città pur non avendo un veicolo elettrico puro. Il suo sviluppo può inoltre accelerare la costruzione di infrastrutture di ricarica pubbliche facilitando così anche la diffusione di veicoli elettrici.

A suo parere, l’ulteriore sviluppo dei veicoli elettrici e ibridi quanto dipende dallo sviluppo di nuovi sistemi di accumulo dell’energia elettrica? Quali sono gli ultimi progressi in tema di sistemi di accumulo?

Sicuramente l’accumulo è uno dei punti critici del veicolo elettrico, anche se negli ultimi anni si può notare uno sviluppo della tecnologia molto interessante che ci sta avvicinando al cosiddetto breakeven-point, sia in termini di prestazioni fisiche che economiche, per avere una diffusione consistente di questi veicoli.

Già negli anni ’70 con la crisi del Yom Kippur prima e con la caduta dello Scià di Persia poi, si attivarono studi per lo sviluppo di tecnologie a supporto dei veicoli elettrici, ma con la riduzione del prezzo petrolifero negli anni ’80 questi si esaurirono rapidamente. Nel frattempo però si è assistito ad uno sviluppo notevole delle tecnologie che vanno a bordo di un veicolo elettrico - motori, convertitori e accumulatori - trainati da altre aree di business parallele, prima tra tutte il settore dei dispositivi di comunicazione ed elaborazione portatili, che ha richiesto lo sviluppo di accumuli con energie specifiche e densità energetiche molto più elevate, necessarie ovviamente quando si ha qualcosa da movimentare.

Volumi specifici e pesi specifici: è quindi su queste due caratteristiche che si gioca l’affermazione del prodotto. Ovviamente la spinta allo sviluppo di una mobilità a basso impatto ambientale ha fatto sì che sviluppassero accumulatori con capacità di accumulo più grandi, rispetto a quelli dei telefonini, e sufficienti per il sistema di accumulo di un veicolo. Ad oggi oltre ai settori degli apparati mobili e dei veicoli c’è una forte richiesta di accumulo gestionale da allocare nelle reti elettriche caratterizzate da una forte componente di produzione da energie rinnovabili di tipo aleatorio.

Queste tre aree creano un volume di business veramente grande che attira elevati quantità di capitali, per questo sono convinto che vi sarà uno sviluppo molto accelerato di tali tecnologie. Ad oggi siamo sui 130-150 wattora per kilogrammo, ma nei laboratori sono in sviluppo nuove tecnologie che nel giro di un paio di anni potrebbero portare sul mercato accumulatori da 250 wattora per kilogrammo. Nel medio periodo si potrà invece arrivare ai 400 wattora per kilogrammo, valori sufficientemente elevati per realizzare veicoli economicamente competitivi.

Di recente si è conclusa l’edizione 2013 del Klimamobility di Bolzano durante la quale numerose soluzioni per la mobilità sostenibile sono state proposte, molte delle quali sui sistemi di ricarica veloce, caricabatteria “reverse”, etc... Resta però il problema delle infrastrutture di ricarica che parallelamente dovrebbero sostenere la diffusione dei veicoli elettrici. Qual è l’attuale stato dell’arte in Italia e quali le migliori testimonianze in Europa?

In Italia questo problema è stato affrontato, tant’è che sono già in corso sperimentazioni importanti nelle città, sia da parte di Enel Distribuzione che di alcune utilities cittadine, come ad esempio A2A e Acea. Tali sperimentazioni devono però fare i conti con lo scarso numero di veicoli.

Questo ha portato ad un cambiamento di logica, come dimostrato dall’accordo tra Eni ed Enel, per installare dei punti di ricarica nei distributori. Stiamo parlando di colonnine di ricarica a potenza elevata per una ricarica rapida. Le nuove tecnologie di accumulo permettono infatti di effettuare ricariche molto più rapide ed in circa 30 minuti si arriva a ripristinare il 50-70% dell’autonomia. Questo consente di allargare il raggio di azione del veicolo, passando dal raggio cittadino a quello provinciale o anche regionale.

Sarebbe inoltre molto importante incentivare lo sviluppo di infrastrutture di ricarica nei parcheggi di aziende e supermercati, nei parcheggi di interscambio e nei centri storici perché molto spesso i residenti di quest’ultime aree non dispongono di un garage.

Qualora le auto elettriche e ibride dovessero imporsi sul mercato vi sarebbero degli interventi strutturali da apportare alla rete elettrica?

Sostanzialmente no. Vi sono sì degli interventi strutturali necessari, ma indipendentemente dallo sviluppo della mobilità elettrica. Parliamo ad esempio della rete di alta tensione. I veicoli elettrici rappresentano invece un’opportunità per i sistemi infrastrutturali in quanto permettono di utilizzarli per un tempo maggiore, distribuendo più uniformemente il carico durante la giornata.

Romano Giglioli

Professore Ordinario di Sistemi Elettrici per l'Energia, DESTEC - Dipartimento di Ingegneria dell'Energia, dei Sistemi, del Territorio e delle Costruzioni - Università di Pisa

www.orizzontenergia.it

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