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Un personale ricordo correlato alla Liberazione dell’aprile 1945

Sono ormai trascorsi oltre sessanta anni, ma nelle scansie della mente determinati tasselli sembrano risalire appena a ieri.

Sud Salento
, litorale di Marittima. Durante un mite pomeriggio della stagione autunno-invernale a cavallo fra gli anni 1944 e 1945, in un piccolo e povero fondicello (più rocce e pietre che terra coltivabile) che degrada a ridosso della scogliera confinante con la caratteristica e fascinosa insenatura denominata «Acquaviva», staziona un gruppo di persone: trattasi, esattamente, di un bimbetto, in compagnia dei nonni e di alcuni zii paterni. Nelle vicinanze del muretto a secco che delimita il podere lungo la strada, la creatura è intenta a giocare senza pensieri: o cercando qua e là piccole e leggerissime palline rosse di bauxite (uddhrìe), o cogliendo e mangiando baccelli di «curumusciuli» (una specie di piselli freschi di più minuscole dimensioni), o cercando di sorprendere nell’erba innocenti grilletti, per quindi «catturarli» e divertirsi assistendo ai loro improvvisi e un tantino goffi saltelli.

Gli adulti, invece, trovansi occupati a brucare manciate di olive da due fronzute piante, su un gradone del fondo un po’ più in alto (di quei tempi, facevano comodo anche risicati quantitativi di olive, appunto, sia per conservarle in salamoia, sia per ricavarne qualche «cria» d’olio).

In corrispondenza del fronte dell’appezzamento di terreno, corre, sinuosa come la costiera, la strada che collega S. Cesarea Terme a Tricase e Leuca, arteria dal fondo non asfaltato ma ricoperto da brecciolino. Ad un certo punto, il bimbo ode il rumore di qualcosa che sta per avvicinarsi e, subito dopo, vede spuntare, dalla curvetta che insiste lì davanti, la figura di un militare che sfreccia a cavallo della sua bici: purtroppo, probabilmente a causa del tratto viario a gomito o soprattutto del brecciolino, il veicolo scivola e sbanda finendo rovinosamente a terra insieme con il velocipedista. Questi, in particolare, striscia a lungo con le ginocchia sul fondo di pietrisco, procurandosi diffuse sbucciature; a ragione, quindi, resta alquanto sconvolto e si lamenta.



La scena richiama l’attenzione anche degli adulti, i quali accorrono immediatamente in aiuto al malcapitato, aiuto che, peraltro, può estrinsecarsi unicamente sotto forma di acqua attinta da un otre di terracotta e di un fazzoletto di tela bagnato, con il ché si ripuliscono alla meglio le escoriazioni del soldato e gli si deterge il volto; l’uomo in divisa, ripresosi un po’, racconta, in incerto italiano, di essere di origine polacca (nella zona, stazionano distaccamenti di suoi conterranei, in appoggio alle forze alleate anglo americane) e di aver intrapreso il viaggio da S. Cesarea Terme con destinazione Marina Serra di Tricase, per recapitare un dispaccio al comando militare installato in tale ultima località. La bicicletta è integra e quindi, dopo pochi minuti, la staffetta è in grado di rimettersi in cammino; contemporaneamente, anche i soccorritori continuano le loro occupazioni.

Passano alcune ore, è vicino il tramonto, quando il bimbetto percepisce un rumore «familiare»: è il medesimo soldato che, di ritorno dalla Marina Serra di Tricase, sta per transitare da quel tratto. Ecco, la bici si arresta, il guidatore smonta e, sorridente, si avvicina al piccolo regalandogli una minuscola tavoletta di cioccolato, un gesto inaspettato e ovviamente assai gradito per il donatario. Dopodiché, un buffetto sulle piccole gote arrossate e, poi, la corsa in bici prosegue.

Una spigolatura di lontana cronaca dal vivo. Che dedurne? Forse che il sentimento della gratitudine o riconoscenza non conosce davvero confini, né tempi, né idiomi, né modalità di manifestazione? Che basta poco o pochissimo? Concludendo e chiedendo venia, per integrale fedeltà di racconto, si precisa che il bimbetto di sei decenni e passa addietro si identifica con chi scrive, ragazzo di ieri classe 1941.

 

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