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Un nuovo libro su Lev Trotskij

È uscito un nuovo libro su Trotskij scritto da Michele Azzerri, un compagno di Sinistra Anticapitalista. Alla mia presentazione-introduzione del libro, riprodotta integralmente insieme all’indice, vorrei aggiungere la mia testimonianza sul lungo lavoro di Michele Azzerri, iniziato per una tesi di laurea e proseguito per passione e volontà di conoscenza, e che era ancora più ampio: è stato ridotto solo per esigenze editoriali. Possiamo sperare quindi che in futuro Michele continuerà a produrre e a contrastare la tendenza, diffusa in gran parte della sinistra sopravvissuta al proprio naufragio, a cancellare la memoria storica delle lotte del movimento operaio o, peggio ancora, a riproporre sottoprodotti del più grossolano stalinismo.

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Presentazione di Antonio Moscato

Poche figure storiche sono state colpite da una damnatio memoriae paragonabile a quella subita da Lev Trotskij. Per decenni – in URSS e in tutto il mondo in cui esistevano partiti comunisti – fu negato il suo ruolo nelle due rivoluzioni russe del 1905 e del 1917, e perfino quello di organizzatore e condottiero tenace di un’Armata rossa creata dal nulla nel vivo di una guerra civile internazionale spietata.

Le foto in cui appariva accanto a Lenin sono state per decenni ritoccate per cancellare ogni traccia del suo operato, mentre legioni di scribacchini compilavano libercoli denigratori che riversavano sul suo conto le più inverosimili calunnie, fino alla fine del sistema sorto dall’URSS staliniana e perfino dopo il suo crollo. A volte lo stesso storico di regime, come Dmitri Volkogonov, che sotto Breznev o Cernenko aveva ribadito le accuse staliniane di complicità di Trotskij con l’imperialismo britannico o giapponese, al tempo di Boris Eltsyn adeguava la condanna al nuovo clima presentandolo invece come un comunista estremista e “avventurista”, che avrebbe messo in pericolo la “patria sovietica” e sicuramente superato Stalin in crudeltà...

Naturalmente l’esistenza di una così abbondante letteratura denigratoria, poteva stimolare una risposta apologetica o comunque rivolta a smontare le accuse più inverosimili. Ma non è il caso di questo libro di Michele Azzerri, che non si dilunga troppo nella confutazione delle grottesche calunnie riversate su un uomo braccato da un paese all’altro, e osteggiato da governi di ogni genere, in una forma che non ha paragoni nel XX secolo.

Trotskij infatti, esiliato a forza in Turchia, e costretto a ridurre al minimo i suoi contatti col mondo nell’isoletta in cui era stato relegato, aveva tentato con ogni mezzo di trovare ospitalità in paesi che si dicevano democratici, trovandolo solo momentaneamente in Francia, ma con vincoli tali ai contatti politici con i suoi sostenitori da essere presto revocato. Mentre era braccato implacabilmente dai sicari di Stalin, senza mezzi, con un numero di sostenitori reso sempre più esiguo dalle persecuzioni e dalle campagne diffamatorie, Trotskij era al tempo stesso temuto da tutti i governi “democratici” come se potesse suscitare nuove rivoluzioni, mentre non poteva far altro che rivendicare una coerenza con la migliore tradizione marxista, senza avere la possibilità di agire.

Nella stessa Norvegia che lo accolse, e che era governata da uomini che lo avevano conosciuto bene durante battaglie comuni nell’Internazionale Socialista, gli fu impedito perfino di rispondere in tribunale alle accuse più infamanti e di pubblicare le sue autodifese, mentre era sempre più esposto alle minacce di nazisti e di stalinisti. Una volta scacciato dalla Norvegia, un solo paese accettò di ospitarlo, il Messico, che conosceva in quegli anni una nuova ondata progressista sotto la presidenza di Lázaro Cárdenas, che aveva rilanciato la riforma agraria e nazionalizzato il petrolio. Ma anche lì, gli fu posta la condizione di non affrontare i temi politici che potessero avere implicazioni locali, una condizione assai dura per un rivoluzionario.

Trotskij considerava quel periodo di tremendo isolamento assicurato dagli sforzi comuni di governi di orientamenti diversi come il più importante della sua vita, ben più che la preparazione della insurrezione dell’Ottobre o l’organizzazione dell’Armata rossa, in cui il suo ruolo era stato centrale, ma era stato possibile – ribadiva – solo grazie alla totale sintonia con Lenin. Ignorato dalla maggior parte dei mass media, e con mezzi ridottissimi, Trotskij si sforzava di tener vivo il pensiero marxista analizzando le tendenze del mondo in trasformazione, cogliendo in tempo i sintomi della grande crisi economica del 1929, anche grazie alla sistematizzazione che aveva fatto della teoria delle onde lunghe di Nikolaj Kondratiev. È straordinaria d’altra parte la lucidità con cui, già nei primi quattro Congressi dell’Internazionale comunista in cui fu relatore su vari punti, Trotskij raffreddava le illusioni sulla rivoluzione imminente, e analizzava con freddezza i mutamenti nei rapporti geopolitici, a partire dal ruolo egemone degli Stati Uniti, che stavano soppiantando la Gran Bretagna nel ruolo di gendarme mondiale.

Pur solo parzialmente tradotti in italiano, e naturalmente ignorati da gran parte della “nuova sinistra” di varia osservanza maoista, i suoi scritti degli ultimi anni, dal lontano osservatorio messicano, si rivelano ugualmente straordinari per lucidità e capacità di previsione, al punto di alimentare la leggenda di un Trotskij “profeta”. Già nel 1938 infatti egli coglieva i segni di un avvicinamento tra l’URSS staliniana e la Germania nazista, e annunciava in anticipo quello che sarà il Patto Ribbentrop Molotov, attirandosi insulti e calunnie di ogni genere fino al momento della concretizzazione di quell’intesa innaturale.

Michele Azzerri valorizza sia questi aspetti più propriamente politici, sia la grande modernità e originalità del pensiero di Lev Trotskij, che anche quando era impegnato ai massimi livelli dello Stato, era sempre riuscito a dedicare una forte attenzione alla vita letteraria, difendendo l’autonomia della produzione artistica, e rifiutando qualsiasi ingerenza statale su questo terreno, come ribadirà nuovamente dal Messico nel 1938, scrivendo insieme ad André Breton il “Manifesto per un’arte rivoluzionaria e indipendente”. Ma ancor più sorprendente che nel vivo della guerra civile il treno blindato su cui si spostava il comando dell’Armata Rossa avesse a bordo una tipografia che non stampava solo il giornalino dei soldati, ma anche una raccolta di poesie di Esenin.

La straordinaria attualità di un dirigente attento a tutti gli aspetti della vita sociale del paese che dirigeva, è confermata anche dagli articoli che periodicamente scriveva sulla “Pravda” ed altri giornali per segnalare i ritardi nel mutamento della mentalità ereditata dal passato, ad esempio il maschilismo e il patriarcato che si riproducevano in famiglie di proletari comunisti. [Per conoscere questo aspetto della produzione letteraria di Trotskij segnalo, sul mio sito, Trotskij. Rivoluzione e vita quotidiana, a.m.]

Michele Azzerri ha colto bene questa caratteristica del grande dirigente politico, che tuttavia si riscontra anche in qualche altra straordinaria figura di quel tempo, da Rosa Luxemburg ad Antonio Gramsci, che tra l’altro con Trotskij ebbe uno scambio proficuo di osservazioni sul futurismo italiano e sulle ragioni del suo orientamento così diverso da quello russo. In Trotskij tuttavia questa sensibilità risalta maggiormente, per il contrasto stridente tra il suo stile umano e la grossolanità e l’arroganza, anche su questo terreno, della leva staliniana che guiderà l’URSS fino al suo crollo ed oltre.

D’altra parte Trotskij è emerso anche come storico, non solo con il suo accuratissimo e rigoroso lavoro di documentazione sulla guerra civile, ma con un’opera di altissimo livello come la Storia della rivoluzione russa, scritta con un distacco che la rende non paragonabile ad altri scritti storici di protagonisti come Cesare o Churchill. Ben venga dunque questo lavoro di un giovane ricercatore, che ripropone alle nuove generazioni una figura che milioni di pagine di calunnie non sono riuscite ad offuscare.

 

L'indice del libro lo trovate qui

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