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Un nuovo contratto per tutti (Tito Boeri e Pietro Garibaldi)

Nel loro ultimo libro, Tito Boeri e Pietro Garibaldi affrontano molti aspetti dolorosi ma fondamentali del mercato del lavoro: il precariato, la recessione, le disparità, l’inattività dello Stato.

Gli argomenti dolorosi nel libro di Tito Boeri e Pietro Garibaldi, Un nuovo contratto per tutti (Chiarelettere, 2008, Milano) sono davvero molti: dai giovani al precariato (oltre ai numeri del precariato bisogna considerare l’evoluzione del fenomeno), dalla scelta obbligata per moltissime donne tra l’essere madre o lavoratrice al divario tra le Italie. Argomenti che rischiano di diventare tormentoni senza soluzione. Ripetuti come una cantilena alla quale si finisce per adattarsi – proprio come le “emergenze” che durano decenni. Boeri e Garibaldi disegnano una spietata analisi delle magagne italiane, ma indicano anche alcune proposte di soluzione. Un paragrafo si intitola, significativamente, “tasse svedesi, stipendi greci”: gli ingredienti principali di questo ossimoro tutto italiano sono la bassa crescita della produttività e lo scarso investimento su ricerca, innovazione e capitale umano.

“Il nostro Paese sta entrando in una recessione. Sono periodi in cui vengono distrutti molti posti di lavoro. Soprattutto tra chi ha contratti temporanei, dato che non costa nulla al datore di lavoro non rinnovarli alla scadenza. In queste condizioni ci vogliono buoni ammortizzatori sociali e buoni servizi di collocamento che facilitino il compito di chi cerca un impiego alternativo. Sedici anni dopo l’ultima grave recessione, stiamo arrivando a questa crisi una volta di più impreparati. E stranamente il governo pensa a come dare più soldi all’industria dell’auto piuttosto che a riformare ammortizzatori sociali e collocamento”. E quando il lavoro non c’è servirebbe una rete di ammortizzatori sociali. Ma “da noi gli ammortizzatori sociali esistono solo per chi ha santi in paradiso”, si legge nel libro. E, verrebbe da aggiungere, chi ha i santi in paradiso o in terra non ha bisogno di ammortizzatori, o ne ha molto meno bisogno di chi non ne ha. Questi disoccupati maltrattati e ignorati sono poi gli stessi precari… Qualche numero chiarisce la situazione anomala dell’Italia: in Francia il 75% dei disoccupati percepisce un qualche sussidio; in Germania si arriva all’80 e nei Paesi scandinavi al 90. In Italia si fatica a raggiungere il 20%.

“Esistono trattamenti molto diversi concessi alle diverse categorie di disoccupati. Ci sono disoccupati di serie A e disoccupati di serie B. Conta il loro peso contrattuale. Ed è il Governo a decidere con chi essere più o meno generoso in base a calcoli di convenienza elettorale. Ogni volta che si profila la crisi di una grande impresa, vengono introdotti ammortizzatori sociali ad-hoc spesso varando nuove leggi. Pensiamo al caso Alitalia. Il Governo ha varato un provvedimento ad hoc garantendo ai lavoratori di Alitalia in esubero un sostegno al reddito per 7 anni, quando i sussidi ordinari didisoccupazione durano mediamente 6 mesi. I dettagli del provvedimento non si conoscono ancora, ma i costi potrebbero essere superiori a 1,5 miliardi di euro, tremila miliardi delle vecchie lire. Cifre da rabbrividire. A carico del contribuente”. Situazione ben paradossale: il sistema degli ammortizzatori sociali italiano, insomma, prevede una corsia preferenziale per i grandi rispetto ai piccoli, protegge molto più gli occupati stabili, già ipertutelati contro il licenziamento; i veri bisognosi, cioè i lavoratori a tempo o i parasubordinati, sono quasi abbandonati al loro destino. Si invocano sempre i tagli necessari e la scarsità di risorse economiche dello Stato: secondo Boeri e Garibaldi sono invece pretesti, scuse per non avviare una riforma seria sul lavoro.

Il nostro Paese non ha neanche servizi pubblici che facilitino l’incontro fra domanda e offerta di lavoro. Anche di questo sono anni che se ne parla. E da anni non cambia niente. Altro esempio: “Fin quando le retribuzioni saranno principalmente legate all’anzianità aziendale, anziché alla produttività, ogni cambiamento di lavoro comporterà una perdita di reddito”. Il tempo non sembra poter essere il criterio fondamentale per valutare la “qualità” del lavoro e la performance del singolo lavoratore e dell’azienda. Fino al 1997 il collocamento è stato interamente pubblico ed ha funzionato malissimo. Poi è stato istituito il “Sistema informativo lavoro”. “Questo “Sil” – continua Boeri – doveva essere il collegamento in rete di chiunque svolga servizi di collocamento, pubblico e privato, con obbligo di comunicazione di tutte le informazioni su domanda e offerta in tempo reale. Questa norma non è mai stata attuata. Oggi gli impiegati del collocamento pubblico svolgono soprattutto mansioni burocratiche e di certificazione: sono assolutamente inadatti a trovare un lavoro ai disoccupati”.

I risultati non sono incoraggianti. “Il sito della borsa lavoro spesso è inattivo. Quando si riesce ad entrarci si scopre che riporta 1 posto vacante in Abruzzo, 0 in Basilicata, 0 in Calabria, 7 in Campania, 5 in Sicilia… come faranno i milioni di disoccupati di quelle regioni a trovare un lavoro? In tutta Italia sono state raccolte dalla borsa lavoro solo 1794 proposte di lavoro. Se si leggono gli annunci si scopre che le candidature andavano presentate tra giugno e luglio 2007 e che il periodo di lavoro previsto era settembre 2007. Insomma quegli irrisori 1700 posti vacanti non sono neanche più vacanti perché nessuno si è preoccupato di “pulire le liste” di controllare che gli annunci fossero ancora validi. Più che una borsa lavoro è un cimitero del lavoro. Nel Regno Unito vengono ogni mese raccolte 250.000 segnalazioni di nuovi posti vacanti. Più di 150.000 di questi vengono riempiti entro il mese in cui vengono segnalati dall’Ufficio Pubblico per l’Impiego”. Sconsolante.

Boeri e Garibaldi, con sarcastica amarezza, definiscono “innovazioni cromatiche” tutti i vari libri destinati al problema (Libro bianco, Libro verde). Ciò che davvero serve è una drastica riforma (“non crediamo che compito dei governi sia quello di scrivere libri. Ci sono già troppi professori, come noi, che fanno queste cose. Compito di chi ha responsabilità di governo è rendere operative le proposte di riforma su cui si è trovato un consenso nel Paese”), riforma che sembra dover coinvolgere anche quella mentalità molto italiana di un rassegnato familismo, di un lamento divenuto modo di vivere e di una immobilità che se non combattuta diventerà irreversibile. Nel capitolo “Il contratto unico e il salario minimo” sono elencati i punti fondamentali di una riforma operativa: il contratto unico; il tempo determinato; una fase di inserimento (3 anni); la fase di stabilità; la riassunzione del lavoratore presso la stessa azienda; il salario minimo; una commissione nazionale per il salario minimo e il contributo previdenziale uniforme. Ci sarà prima o poi un governo che darà seguito alle riforme invece di annunciarle, discuterle e poi relegarle in qualche libro insieme al futuro di una ampia percentuale di lavoratori e di cittadini italiani?

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