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Un mese nell’era degli “squadristi”

È di nuovo l’era degli squadristi. Squadristi “della peggior specie, intolleranti da condannare in ogni senso” sono, secondo Giancarlo Galan, i no global che hanno distrutto il campo di mais ogm di Giorgio Fidenato in Friuli. Squadrista è la destra berlusconiana che aveva definito “pornografia” gli attacchi di Famiglia Cristiana: “è necessaria una grande iniziativa nazionale” per “disarmare” la loro Italia, sostengono Giuseppe Giulietti e Stefano Corradino di Articolo 21, prima che questa “metastasi profonda” sia in grado di colpire “a morte” la Costituzione. Squadristi sono gli antifascisti che hanno fischiato Dell’Utri a Como, impedendogli di presentare i presunti diari del Duce – Capezzone dixit.

Squadristi, ma “della Libertà”, i presunti contestatori che, organizzati da Francesca Pascale, sarebbero dovuti arrivare in pullman a Mirabello per fischiare Gianfranco Fini. Squadristi anche i venti, poco più poco meno, che a Torino alla Festa Democratica (sic) hanno contestato Renato Schifani al grido “fuori la mafia dallo Stato” – questa volta, Fassino dixit. “Parole senza senso”, oppone Grillo: i politici devono “avere paura”, perché questo “è solo l’inizio”. Ma no, “non sono squadristi”, replica Violante, sono solo “persone arrabbiate”. Squadristi, ma “di tipo stalinista” (dice la Cisl del Friuli Venezia-Giulia) sono i fischiatori di Raffaele Bonanni – sempre a Torino – che questa volta si lasciano scappare anche un bengala all’indirizzo del sindacalista. Bersani e molti altri convengono. Per altri, sotto sotto, è la reazione degli onesti. L’inizio, insomma, prosegue.

E poi c’è la diatriba su chi abbia portato lo squadrismo nel mondo politico contemporaneo. “È Berlusconi!”, tuona D’Alema. “È la componente reazionaria e squadrista del PD!”, replica – a distanza – Renato Brunetta. Sono le “squadre della libertà”, ma vigilata, controreplica idealmente Massimo Donadi. Nel mezzo abbiamo imparato che Fini è “umanamente una merda”, Casini è “uno stronzo”, Bossi è “un noto trafficante in banche e quote latte”, Verdini è “un democristiano di merda“, svariati tra maggioranza e opposizione sono “sciacalli”, il berlusconismo è “una fogna”, a Di Pietro manca solo “l’elogio dell’olio di ricino” (ah, Capezzone) e i triumviri del PDL sono “talebani” – mentre di converso i finiani “vietnamizzano” la maggioranza. Contro il loro “cretinismo”, azzarda Giancarlo Lehner, servirebbero le “botte da orbi” cui sono soliti ricorrere i pidiellini di Celano. Dimenticavo, ci sono anche i giudici che tentano di “gambizzare” il Premier.

Per non parlare del florilegio di parole come “eversione”, “golpismo”, “attentato” e altre amenità da rivoluzione armata sprecate per l’ipotesi – prevista dalla Costituzione – che a sostituire Berlusconi sia un tecnico. Del resto, se si ferma il federalismo “c’è il rischio che succeda qualcosa di brutto, qualcosa che va al di là della democrazia”. Calderoli, nel dubbio, è pronto: se serve “trombo anche con il demonio”. Per liberarci di tutto questo? Macché: per “la libertà della Padania”. Uno Stato inventato, situato all’interno di uno Stato reale, e vezzeggiato come esistente, proprio come un amico immaginario, soltanto da chi ha giurato sulla Costituzione che ne dimostra l’inesistenza. E soltanto da chi è stato ministro di tutti gli italiani e ora si bea che i suoi conterranei non siano stati ancora “italianizzati“.

Provate, cari politici, a trovare “un senso in questa storia”, che è tutta contenuta nell’ultimo mese di cronaca. A dire “meno male che Silvio c’è”. Provate a convincermi che basti andare alle urne per azzerare tutto, trasformare questo delirio in una narrazione ordinata. È sempre più difficile, vero? Esatto. Alzare la voce è servito? No, gli elettori vi ascoltano sempre meno. Chissà se un attimo di distacco dal trambusto vi farà rinsavire. O se invece preferirete definire anche questa una esortazione “squadrista”.

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