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Un’altra scuola è possibile?

di Adolfo Fattori

 

È indispensabile, per comprendere le articolazioni di un fenomeno, che se ne occupi qualcuno che può osservarlo dall’esterno: c’è un livello, profondo e strutturato, di analisi, che permette di verificare come e se l’affermazione di un principio, o di una dichiarazione di intenti, si realizzi in pratica, e che si articola attorno al confronto fra le intenzioni e le pratiche, le dichiarazioni e la policy reale, attraverso la ricerca sul campo, l’intervista, l’analisi dei dati, lo studio delle normative.
 
Come fa la ricerca di cui dà conto Fiorenzo Parziale in L’altra scuola Valutazione della politica di Educazione degli Adulti in Campania, pubblicato da Franco Angeli nei primi mesi di quest’anno, ricerca in cui l’autore applica alle politiche campane per l’Educazione degli Adulti (l’EdA) le tecniche e gli strumenti della ricerca valutativa, senza accontentarsi – ed è qui, credo, uno dei meriti del lavoro del giovane sociologo napoletano – di confrontare i risultati attesi con quelli realizzati – e lo scarto fra loro – ma anche il “… perché di tale frattura […] lo sguardo si sposta su come funziona la policy, prendendo in considerazione non solo cosa essa abbia prodotto, ma anche e soprattutto perché l’abbia prodotto.” (Parziale, p. 11, corsivi nostri). Dalla sua parte, la teoria sociologica, “… essendo ogni policy un prodotto di natura sociale” (p. 12).
 
E un lavoro del genere è ancora più significativo se permette di confermare impressioni e considerazioni rimaste imprecisate, vaghe, dubbie, a chi – come me – nella sfera oggetto dell’analisi si è trovato ad operare, ma essendovi collocato troppo “all’interno” non era riuscito appieno a stabilire la necessaria distanza da ciò che faceva, e ad esercitare il necessario “sguardo sociologico”, e quindi non era riuscito – al di là di alcune intuizioni – a “dare nome” ai fenomeni che gli si sviluppavano sotto gli occhi.
 
Il libro di Parziale ha come fulcro le politiche connesse alla promozione dell’EdA, vero, ma per poterci ragionare il sociologo deve per forza allargare lo sguardo e il discorso a tutta l’area dell’educazione – formale, e informale, scolastica e professionale – così come si è sviluppata in Campania negli ultimi quindici-vent’anni, e quindi intercetta anche sezioni di questa in cui mi sono trovato a lavorare direttamente, facendone esperienza immediata – e, sul momento, ricavandone perplessità se non forti dubbi nello scarto che percepivo fra intenzioni espresse e pratiche concrete.
 
Fiorenzo Parziale descrive prima di tutto il quadro storico-politico (ma anche etico, volendo) da cui si sviluppa la sfera dell’EdA, dalla sua dimensione globale fino ad arrivare al livello locale – quello campano. E poi ne illustra gli esiti, confrontando quindi l’output del processo (i risultati in termini di individui coinvolti e di successo formativo) con la tappa intermedia costituita dalle tecnologie messe in atto.
 
E confrontando intenti e principi con intese, bandi, organismi e poi con testimonianze ed esiti, descrive un quadro decisamente sconfortante.
Il ricercatore parte dal confronto fra due “retoriche”, quella aziendalistica, che interpreta le esigenze strumentali dell’economia, e quella welfaristica, che sostiene le istanze etiche dell’educazione, ragionando su come queste si siano intrecciate sia in termini conflittuali che convergenti: l’EdA ha senso se si traduce nella formazione di figure professionali da un lato, di cittadini consapevoli dall’altro. In occupazione e in cittadinanza. In valorizzazione del “curricolo sommerso” e in autoriflessività (p. 38). Su cui, all’istruzione pubblica tradizionale, si sono aggiunti come canali la formazione professionale regionale e il Terzo settore – grazie, naturalmente ai finanziamenti del Fondo Sociale Europeo.
 
Solo che il termine “retorica”, che immagino l’autore usi prima di tutto nel senso neutrale di costruzione teorica coerente, di configurazione narrativa, assume – forse involontariamente, certo ironicamente – la connotazione più comune e negativa di tecnica di persuasione, più o meno demagogica.
Perché – e qui è uno dei meriti del libro di Parziale – semplicemente descrivendo lo stato delle cose, ci mostra quanto sia ampia la distanza fra le petizioni di principio e le realizzazioni pratiche.
 
Nel saggio troviamo distribuiti alcuni commenti e dati che funzionano molto bene da “parole chiave”. Centrale è, per esempio, il concetto di delega senza autonomia, o opacità che porta a conflitti giurisdizionali (p. 55) con cui Fiorenzo Parziale intende il decentramento delle responsabilità da parte degli organismi centrali a quelli periferici, senza che però questo sia accompagnato da sufficiente autonomia finanziaria e chiarezza normativa. Il sociologo ne scrive a proposito dei rapporti fra regione Campania ed enti territoriali “inferiori”, ma il discorso vale tranquillamente anche per la scuola pubblica, nei rapporti fra ministero, uffici locali e singole scuole.
 
Anzi, forse, il varo della tanto sbandierata “autonomia scolastica” attorno agli ultimi anni Novanta del Novecento credo ne sia il modello e l’esempio più sostanzioso – in senso negativo, naturalmente: se Parziale ne parla nei termini (neutrali, referenziali) della assunzione della “retorica aziendalistica europea” (p. 37), noi possiamo essere più espliciti, e tradurla come l’ennesimo “armiamoci e partite”, laddove il fiore all’occhiello (a parole) della concessione dell’autonomia non si traduce in risorse assegnate perché l’autonomia possa funzionare, ma nell’esortazione a “creare reti” con il mercato, “cercare sponsor” e così via, in un contesto in cui la scuola cominciava a conoscere una precipitosa perdita di appeal e attenzione – da parte degli utenti, da parte delle imprese.
 
Ancora, Fiorenzo Parziale scrive di due problemi che impediscono “la realizzazione in Campania della politica di Educazione degli Adulti […] la scarsa capacità di integrare istruzione formale, formazione professionale ed educazione non formale; lo scarso raggiungimento dei destinatari della policy.” (p. 45).
 
Questioni di scarsa comunicazione? di normative che confliggono? di rivendicazione di leadership? Un po’ di tutto questo, credo. Cui si aggiunge lo scarto sempre più forte fra i fini dichiarati e statutari delle istituzioni e la loro tendenza all’autoreferenzialità. Oltre che lo iato crescente fra i compiti degli individui che sono nelle organizzazioni e il loro identificarsi con questi (cfr. Camarlinghi, D’Angella, 2006, pp. 51 e segg.) e, aggiungo, i conflitti legati alla distribuzione delle risorse disponibili, alla difesa delle proprie prerogative e del primato della propria idea di “educazione”, come nel caso del conflitto fra esponenti della scuola pubblica, fautori di un modello di istruzione tradizionale – anche nei contesti della formazione professionale, per gli adulti, nei confronti dei soggetti a rischio di esclusione e di dispersione scolastica, che paradossalmente fa riferimento alle esperienze e alle teorizzazioni che nella scuola hanno cercato di portare innovazione e sperimentazione (cfr. pp. 36, 38, 43, 70; cfr. anche Guarino, 2004, pp. 201 e segg.; 2009, pp. 413 e segg.) e che invece finiscono per rimanere escluse da tutta la sfera dell’istruzione non direttamente afferente alla scuola “normale”.
 
Alla base, quindi, uno scarto cruciale, paralizzante, fra intenzioni espresse e scopi reali: certo, l’Italia ha accolto le direttive europee in tema di elevamento dell’obbligo di istruzione d formazione (Parziale, p. 40), la Regione Campania ha più volte dichiarato la sua intenzione di promuovere inclusione sociale, pari opportunità, integrazione delle categorie deboli – almeno ad ogni bando POR dedicato, ma…
 
Ma l’impressione forte – confermata dal libro di Parziale – è che tutta la partita dell’EdA e delle sfere vicine sia stata governata più che dalla prospettiva di promuovere conoscenza e cittadinanza da quella di gestire finanziamenti – e posti di lavoro, seppur precari e a rischio, come quelli per gli “esperti esterni”, reclutati fra i giovani laureati in cerca di prima occupazione, fra i supplenti delle scuole, e così via. Anche Parziale vi accenna, facendo riferimento al Terzo settore, quando scrive di come spesso il numero di docenti impiegati sia ridotto al minimo per ottimizzare le risorse (p. 92), implicando, secondo me, pratiche di sfruttamento e di svalorizzazione, e confermando le conclusioni di una ricerca recente condotta sul piano nazionale (Corbisiero, Scialdone, Tursilli, 2009; cfr. anche Fattori, 2010).
 
Non mi è possibile qui rendere conto di tutte le articolazioni del saggio di Fiorenzo Parziale, cui naturalmente rimando, ma credo che un altro paio di considerazioni siano utili.
 
“Ci sono voluti più di due millenni […] affinché l’idea di life long education […] si trasformasse da un ossimoro in un pleonasmo, quantunque questa importante trasformazione sia avvenuta in tempi recenti…” Così afferma Zygmunt Bauman nel suo ultimo libro, scritto in collaborazione con Riccardo Mazzeo (2012, p. 26; cfr. anche Fattori, 2012).
 
Le considerazioni del sociologo polacco possono avere, credo, due interpretazioni: che si è affermata la consapevolezza che la nostra educazione si dipana lungo l’intera strada che percorriamo durante la nostra vita – in altre parole, che i processi di socializzazione che ci investono non si concludono mai; oppure, che la società occidentale moderna – perché su quella si concentrano i due autori – ha ormai attivato strategie e tecnologie tali che rendono esplicito, orientato, diretto questo processo.
 
Ambedue mi sembrano, sinceramente, ipotesi ottimistiche, e naturalmente la seconda molto più della prima, almeno per alcune aree dello stesso Occidente. Come per l’Italia, in particolare per le sue regioni meridionali. Quello che ho visto è stato assistenzialismo – e macelleria sociale.
 
Sarebbe meglio praticare un po’ d’umiltà, e magari tornare all’approccio – artigianale e pionieristico, ma insuperato – della Rai dei primi anni, e del maestro elementare Alberto Manzi che con Non è mai troppo tardi insegnò a leggere-scrivere-e-far-di-conto e ad essere cittadini consapevoli ad un enorme numero di italiani, specie se penso che – tornato a insegnare nelle scuole superiori dopo più di un decennio – mi ritrovo, e non mi dispiace, e dover fare la stessa cosa. Senza fondi FSE, senza, bandi pubblici, ma come normale attività didattica nei contesti dell’istruzione formale. Ma questa è un’altra storia.
 
 
Letture
Bauman Z. (con Mazzeo R.), Conversazioni sull’educazione, Erickson, Trento, 2012.
Camarlinghi R., D’Angella F., Riscoprire la forza dei legamiIl lavoro sociale nella società iperindividualista. Intervista ad Eugène Enriquez, in “Animazione sociale”, 206, XXXVI, 2006.
Corbisiero F., Scialdone A., Tursilli A., Lavoro flessibile e forme contrattuali non standard nel terzo settore, Franco Angeli, Milano 2009.
Fattori A., Un motto globale: Libertà, Flessibilità, Precarietà, in “Quaderni d’Altri Tempi” 25, 2010, 22/04/2012, http://www.quadernidaltritempi.eu/rivista/numero25/bussole/q25_b11.htm
Fattori A., Intelligenti come missili, in “Quaderni d’Altri Tempi” 37, 2012, 22/04/2012,
http://www.quadernidaltritempi.eu/rivista/numero37/bussole/q37_b12.html
Guarino D., Una lettura del Progetto «Chance», in “Educazione interculturale” Vol. 2, n. 2, maggio 2004.
Guarino D., Rom e Sinti a Napoli, in “Educazione interculturale” Vol. 7, n. 3, ottobre 2009.

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