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Turchia. I solidi argomenti di Erdogan

Erdogan pare uscito abbastanza bene dal golpe, non solo perché è riuscito a incarcerare o almeno destituire da ogni incarico un gran numero di veri o presunti oppositori, indipendentemente dalla loro partecipazione al golpe, o da una loro eventuale simpatia per i suoi promotori. 

È più che evidente che l’arresto o il licenziamento di molte migliaia di giornalisti, rettori e docenti, militari non partecipanti al golpe, ecc., in uno o al massimo due o tre giorni, prescinde da qualsiasi vero processo e indagine, ma corrisponde a un’epurazione di funzionari presumibilmente critici nei confronti dei suoi progetti presidenzialisti e autoritari sulla base di liste prefabbricate preparate da tempo, prima e indipendentemente dall’esistenza di qualsiasi tentativo golpista.
Giustamente a Emanuele Giordana su Il Manifesto è venuto in mente la situazione dell’Indonesia del 1965: anche allora fu denunciato un tentativo di golpe “comunista” capeggiato dal colonnello Untung Syamsuri che sarebbe avvenuto il 30 settembre di quell’anno, provocando 6 (sei!) morti, e che innescò il vero golpe del generale Suharto, che in pochi mesi sterminò circa mezzo milione di persone, in parte appartenenti alla numerosa comunità cinese, ma in prevalenza membri del partito comunista, che aveva tre milioni di iscritti e risultò assolutamente impreparato a fronteggiare una repressione che non aveva previsto. Giordana esclude per la Turchia l’ipotesi del finto golpe, ma osserva:

"Le modalità della reazione e la rapidità nell’esecuzione delle epurazioni fa semmai pensare a qualcosa che accadde in Indonesia oltre cinquant’anni fa: il colpo di stato con cui il generale Suharto mise fine all’esperimento nazionalpopulista e venato di socialismo di Sukarno, uno dei leader dell’indipendenza del Paese dall’Olanda. Viene da pensarlo nel giorno in cui il governo indonesiano, per bocca del ministro per la sicurezza Luhut Panjaitan, ha bocciato il risultato di un tribunale popolare internazionale - formato da giuristi che hanno consultato documenti e ascoltato testimonianze - che all’Aja due giorni fa ha rilasciato la sua sentenza. Con cui chiede al governo di procedere a identificare chi si macchiò di crimini contro l’umanità nel periodo 1965-66 quando almeno 400mila persone [ma altre stime parlano di 700.000 vittime] furono massacrate dopo il golpe di Suharto. Panjaitan ha detto chiaramente che l’Indonesia ha il suo sistema di giustizia e che non è affare di altri indagare sui fatti di casa. Il portavoce del ministero degli Esteri ha infine chiarito che l'Indonesia non si sente obbligata a seguire le indicazioni di un tribunale che non ha basi legali. L’argomento è infatti tabù anche se recentemente il neo presidente Joko Widodo aveva mostrato segni di apertura salvo poi fare marcia indietro quando lo Stato avrebbe dovuto fare pubblica ammenda".

Naturalmente ci sono analogie ma anche differenze sostanziali: i dati circolati fanno per ora apparire molto meno cruenta la repressione in Turchia, in primo luogo perché si tratta di tempi e di luoghi in cui le informazioni circolano molto più rapidamente che mezzo secolo fa (ma dato che sappiamo come è stata organizzata la repressione nel Kurdistan, dell’entità complessiva delle vittime del controgolpe turco tenteremo un bilancio a suo tempo, quando saranno disponibili dati più completi).

Comunque le minacce di “accogliere le richieste popolari” di ritorno alla pena di morte fatte da Erdogan sono allarmanti, sia perché la pena di morte è stata già applicata di fatto nei confronti di quei soldatini all’oscuro di tutto che erano stati messi a “fare esercitazioni” su un ponte, sia perché Erdogan ha un argomento abbastanza forte per andare avanti su questa strada: “E perché noi non dovremmo? USA e Russia hanno la pena di morte e nessuno dice niente…”

Ed è difficile contraddirlo, sia perché Putin, che d’altra parte è per varie ragioni molto indulgente verso Erdogan, ha effettivamente sospeso l’anno scorso col pretesto della caccia ai pedofili la moratoria che aveva “concesso all’Europa”, sia per quello che presumibilmente ci riserveranno gli Stati Uniti in caso di vittoria di Trump. E anche i paesi che formalmente l’hanno soppressa, non hanno problemi di fronte agli omicidi mirati praticati direttamente o dai loro alleati in Afghanistan, Irak, Siria, Pakistan, Libia, ecc.

Erdogan è tranquillo, soprattutto, perché i bassi servizi forniti dalla Turchia nel vicino e medio oriente, nelle repubbliche asiatiche dell’ex URSS, nel controllo delle correnti migratorie di sventurati in fuga dal conflitto siriano, sono indispensabili anche ai governi di quei paesi europei che hanno una opinione pubblica più sensibile.
E quei paesi per giunta sono un po’ tutti nei guai: dopo i clamorosi fallimenti dei servizi di sicurezza belgi e francesi nella prevenzione e nella risposta tempestiva agli attentati terroristi, anche la Germania ha confermato una sostanziale impreparazione: una persona sola ha potuto tenere in scacco per ore la polizia con una semplice pistola, uccidendo indisturbato 9 persone prima di togliersi la vita. Una persona imprevedibile, non corrispondente allo stereotipo del terrorista mediorientale (anche se c’è chi accecato dal pregiudizio ha giurato di averlo sentito proclamare Allahu Akhbar, mentre in realtà gridava invettive contro i turchi!). Ma è un esempio che potrà essere riprodotto dagli sciagurati che invidiano l’esito di questa impresa terroristica, anche se fatta in nome di una ideologia apparentemente opposta alla loro, perché xenofoba e islamofoba.

Intanto, per simulare l’efficienza che non c’è, le polizie europee, compresa la nostra, quando il fattaccio è avvenuto, ed è risultato, a loro vergogna, compiuto da un singolo squilibrato, inseguono tracce vaghissime di contatti a catena.
Hubert Krivine ha osservato in proposito che “non conosciamo la relazione tra Mohamed Lahouaiej Bouhled (MLB), il camionista assassino di Nizza e lo Stato Islamico”. Noi no, ma “Hollande e Valls si, dato che lo hanno affermato. E ora tocca a polizia e magistratura dimostrarlo. Devono dimostrarlo!”.

E ha osservato che l’ipotesi si basa sulla teoria matematica dello small world. La quale sostiene che ogni individuo è in contatto in media con alcune decine di persone, ma qualcuno di essi potrebbe essere entrato in contatto con un individuo fuori da questa cornice ristretta, legando in questo modo la piccola comunità con un'altra. E poi un membro di questa seconda con uno di una terza, e così via. Krivine osserva che quindi se uno conosce un prete, questo a sua volta può conoscere un vescovo, e poi questo un cardinale, il quale sarà in contatto col papa… Ma si può pensare che serva alle indagini questo metodo? In questo modo si può collegare arbitrariamente un individuo a un altro, senza che abbiano avuto il minimo contatto diretto. E l’inefficienza degli investigatori viene potenziata.

Erdogan osserva questo brancolare nel buio degli investigatori francesi, italiani, ecc. e ride di loro. Lui si sa come fare, e pensa che potrà dare lezioni. Colpirà ancora nel mucchio, e pazienza se colpirà anche innocenti… 

 

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