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Tunisia, Meloni prosegue la campagna d’Africa

Ci si può domandare se il mortifero abbraccio fra la premier Meloni e il presidente tunisino Saïed, che nell’odierno viaggio si consolida con la benedizione della presidente della Commissione europea von der Layen, sia dettato dall’approccio pragmatico di entrambi (tener lontani gli sbarchi per Palazzo Chigi, monetizzare aiuti per quello di Cartagine) o dal comune dna attorno a questioncine come “la sostituzione etnica del proprio popolo” che dovrebbe ricondurre non solo chi la pronuncia ma addirittura chi la pensa a uno studio perlomeno elementare della Storia. 

Di fatto la febbre degli incontri che vede la premier d’Italia volare ripetutamente a Tunisi si collega all’isolamento del dittatore denominato RoboCop per la metallica insensibilità verso tutto, tranne che per la foja di potere. Ma i due si cercano perché pensano di servirsi l’uno dell’altro. Alla nostra presidente del Consiglio può far comodo l’uomo d’acciaio che s’impegna a tenere lontana dal Canale di Sicilia la migrazione disperata delle fasce subsahariane. Poi “l’assedio” alla Fortezza Italia, che pure reclama manodopera estera, può giungere dalle coste turche e greche, dalla rotta balcanica, ma questo convince ancor più Meloni della giustezza della propria campagna d’Africa poiché la Tunisia è un interlocutore bisognoso e disponibile. Da parte sua Saïed deve stare al gioco, non ha altre possibilità, visto che il Fondo Monetario Internazionale, come ha fatto in altre epoche con altri regimi locali (Burqiba, Ben Ali), dà per ricevere. Sul piatto stavolta mette 1,7 miliardi di euro in cambio di riforme, che restano generiche, ma dovrebbero riguardare una restituzione di dignità al Parlamento calpestato dal golpe bianco di fine 2019 e la limitazione o soppressione dei sussidi usati come specchietti per le allodole di un consenso comunque marginale. Alle elezioni dello scorso dicembre ha votato un milione di cittadini sugli oltre nove iscritti ai seggi. Il presidente-golpista è ossessionato dai migranti considerati criminali, ma pure da rivolte interne e cerca di stringersi attorno, oltre alle Forze della forza, settori privilegiati e pure disastrati, lanciando quest’ultimi nella caccia al negro che usurpa le già scarse possibilità di vita interna.

Tramontate le fasi industriali - tratti salienti del colonialismo storico, di quello di ritorno e di quello praticato dai satrapi della politica come il “socialista” Ben Ali legato al clan della consorte Trabelsi nello sfruttamento d’ogni risorsa dai fosfati, alle spiagge - il turismo resta l’unica risorsa. Ma oltre a ridursi sensibilmente per l’immagine d’uno Stato incapace di essere tale, gli investimenti turistici hanno da tempo scelto altri lidi, dalla Turchia alle monarchie del Golfo attrezzatesi nel diversificare le rendite del petrolio. Purtroppo per la propria dignità - che un’indomita opposizione cerca di tenere alta subendo repressione e galera, ma che non ha saputo interpretare né nella versione governativa del progressismo laico né in quella dell’Islam politico - l’odierna Tunisia è un luogo di disperazione. Fra gli autoctoni, specie giovani, che cercano, sperano, sognano di attraversare i 150 chilometri che li separano da Lampedusa, e i disperati o furbi italiani che cercano riparo dal fisco nazionale. La comunità di Hammamet e dintorni s’amplia, non solo della presenza di nostalgici in pellegrimaggio permanente al buen retiro di quel che fu capo latitante, ma fra i pensionati (gran parte sono ex servitori dello Stato in uniforme) che qui possono valorizzare la propria quiescenza con una ritenuta minima, rispetto alla quota dovuta nel Belpaese. Fisco maligno dicono e agiscono di conseguenza. Poi c’è qualcuno che su questo ha organizzato il personale business offrendo, a pagamento s’intende, le dritte giuste per conseguire lo status di pensionato detassato, incentivando, ma solo per chi lo vuole, l’altro mercato del turismo sessuale. Si tratta d’un contorno minimo rispetto alle masse della disperazione migratoria con cui si misura la grande politica. Tornando al duetto Meloni-Saïed, nel chi accontenta chi, e accontenta se stesso, il futuro può oscurarsi più per l’apprendista stregona del fantomatico “piano Mattei” che per il metallico RoboCop. Nessun accordo può frenare lo sconforto di centinaia di milioni di africani, specie se questo non prevede soluzioni lavorative dignitose da adeguare nei Paesi subshariani e inserimenti altrettanto dignitosi nell’Europa cui serve manodopera. Tali presupposti mancano visto che la supervisione Ue sceglie di applicare multe, anziché obblighi ai Paesi membri che non accettano migranti. La nostra penisola, dunque, può continuare a vedere flussi di barchini, in quanto Saïed non regolerà un bel niente. Al più continuerà ad ammassare cadaveri come nell’ospedale-obitorio di Sfax e se le strade ribolliranno senza possibilità di asfaltarle, volerà via come fece Ben Ali.

Enrico Campofreda

Questo articolo è stato pubblicato qui

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