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Trieste: è scontro tra il Piccolo e la Procura. Un caso che induce alla riflessione sulla libertà di stampa

 
Dopo i fatti clamorosi di Parigi, che comunque sembrano essere già stati risucchiati dal vortice mediatico e dunque rimossi, si è realizzata l'immensa ipocrisia del noto Je suis Charlie. A tal proposito ricordavo attraverso alcune pregresse riflessioni, che in tema di libertà di stampa nella classifica mondiale non si trovava, la Francia, al 1° posto ma al 39° posto e l'Italia, al 49°.
 
Ora, le classifiche possono essere interpretate come meglio lo si vuole, rispondono non sempre a criteri oggettivi, dipende da chi sono commissionate, come vengono realizzate, quali i dati e fattori analizzati od omessi, ma, in ogni caso, sono sempre un buon elemento di riflessione da cui partire. Trieste, certamente nel suo torbido passato, con il fascismo in primo luogo, ha conosciuto enormi violenze in tal senso, patite soprattutto dalla comunità slovena che ha visto nel giro di pochi anni azzerare le centinaia di scuole slovene esistenti in Venezia Giulia, annientare la diffusione dei libri, delle riviste, della stampa, italianizzazione dei cognomi, delle località, arresti, confino, perquisizioni, soppressione di ogni libertà, nel nome dell'italianizzazione forzata, sia beninteso.
 
Oggi si trova a vivere un caso, che nulla ha da condividere con quanto ora succintamente scritto, ma che interferisce però sulla questione libertà di stampa, e nel dettaglio i rapporti tra cronaca giudiziaria e diritto all'informazione. Che la televisione italiana sia bombardata da programmi televisivi che affrontano questioni giudiziarie è noto, e spesso trattasi di programmi allucinanti, inquisitori, che si sostituiscono ai Tribunali sentenziando la colpevolezza dell'interessato prima del giudizio formale, trasformando la vittima in oggetto per raggiungere audience. Ai programmi televisivi poi si sono aggiunti anche riviste di vario tipo.
 
Dunque l'opinione pubblica è stata in tal senso dopata, portando i Tribunali dentro le case, senza rispetto alcuno delle ovvie prerogative emergenti. E ciò è evidente che spesso accade anche con la compiacenza di alcuni, pochi per fortuna, operatori della giustizia, siano essi magistrati che forze dell'ordine, che accettando la logica della gossipizzazione della cronaca giudiziaria che non diventa più cronaca ma spettacolo denigrano imputati, parti offese e la libertà d'informazione medesima. Nel dicembre del 2013, Barbacini, noto cronista del Piccolo, il giornale di Trieste ed uno dei più importanti del FVG, così scriveva su Mastelloni: “Carlo Mastelloni, che è stato “aggiunto” alla Procura di Venezia, è di origine napoletana ma non ha mai fatto mistero di avere un debole per Trieste. Prova ne è il fatto che proprio in questa città il nuovo procuratore capo ha ambientato il suo libro “Il filo del male” (Marsilio 2010) scritto a quattro mani con il docente Francesco Fiorentino. Il libro è ambientato nella Trieste del 1958 e tocca da vicino i motivi ricorrenti della storia politica italiana, in particolare le connessioni tra le stanze del potere e l’azione dei servizi segreti. Argomenti che restano di attualità. (...) Il nome di Mastelloni è abbinato all'inchiesta (che porta la data del 1996) sulle armi e sui finanziamenti del Governo italiano alle organizzazioni che si occupavano di tutelare la presenza della nazione nell'allora Territorio libero di Trieste. Il magistrato se ne è occupato nell'ambito dell’inchiesta su “Argo 16”, l’aereo dei nostri servizi segreti misteriosamente precipitato a Tessera”.
 
Dunque una buona presentazione di colui che si è, successivamente, insidiato alla guida della difficile Procura della Repubblica di Trieste. Passano i mesi, un paio di articoli di cronaca giudiziaria locale, la diffusione di informazioni che probabilmente dovevano rimanere riservate, non tanto per la loro rilevanza processuale, ma per una questione etica e regolamentare e procedurale, e la mancata presunta osservanza da parte di alcuni operatori delle forze dell'ordine di direttive o moniti “interni” finalizzati a rispettare la riservatezza assoluta delle indagini, questo è quello che pare di capire, ha dato luogo ad una inchiesta e relativa notifica di avvisi" spediti al comandante del Nucleo investigativo dell'Arma al responsabile della Squadra mobile ed al giornalista del Piccolo. Un terremoto che ha già scatenato prevedibili reazioni rilevanti.
 
Un pesantissimo editoriale del Direttore del Piccolo contro il Procuratore, lasciando intendere che “rischierebbe poi di soffrire di solitudine”, prese di posizioni di alcuni sindacati ed organi vari a sostegno della difesa della libertà di stampa e del Piccolo, che, aspetto da non poco conto anche per questa vicenda, è in sostanza l'unico quotidiano di Trieste. Una situazione che rischia non tanto di spaccare la città, ma di isolare, seriamente, il vertice della Procura triestina, all'interno di una Procura forse già divisa. Anche perché è stato indirettamente colpito il Piccolo, ovvero parte determinante nella vita dei triestini, perché un triestino senza il Piccolo è come una Trieste senza la Bora.
 
Questo caso, a parer mio, deve indurre alla riflessione su cosa si voglia intendere per libertà di stampa, essendo il primo ad essere contrario ad ogni tipo di censura o processo alla libertà di stampa e diritto del cittadino ad essere doverosamente informato, cosa si voglia intendere per cronaca, cosa si voglia intendere per libertà d'informazione, per trasparenza, e quale equilibrio deve emergere tra la dignità processuale e l'informazione ed il controllo sociale che la collettività deve esercitare nei confronti della Giustizia.
 
E' interessante a tal proposito quanto eccepì la Corte di Strasburgo con la sentenza 7 giugno 2007 ovvero che è legittimo - secondo i giudici europei - accordare una protezione particolare al segreto istruttorio, sia per assicurare la buona amministrazione della giustizia, sia per garantire il diritto alla tutela della presunzione d'innocenza delle persone oggetto d'indagine. Ma su queste esigenze prevale il diritto di informare, soprattutto quando si tratta di fatti che hanno raggiunto una certa notorietà tra la collettività. (Dupuis c. Francia, ricorso n. 1914/02, sentenza 7 giugno 2007; fonte: Marina Castellaneta in “Il Sole 24 Ore del 21 giugno 2007).
 
Probabilmente il passo, come attuato dalla Procura triestina, è stato difficile, si è voluto frantumare un sistema consolidato, forse questa mossa è stata necessaria perché qualcosa nei meccanismi interni non funzionava e ciò è solo la canonica punta dell'iceberg, ma quando qualcosa nei meccanismi interni non funziona e si arriva ad una inchiesta che per ovvietà di cose finisce sul piatto dell'opinione pubblica e dunque diventa di dominio pubblico la presunta spaccatura, significa che la situazione è non solo tesa ma anche grave e di ciò non possiamo farcene semplicemente una ragione viste anche le tre importanti soggettività coinvolte. 
 
Certo, esiste sempre la via della concordia, ma ad oggi è più facile continuare ad immaginarla drammaticamente inclinata sulle acque del Giglio che retta per la via di una serena navigazione. 
 
Marco Barone

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