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Trascendere se stessi e morire giovani: i morti della musica rock

La recente scomparsa della cantante inglese Amy Winehouse ripropone ancora una volta il tragico tema della morte in età giovane di numerosi talenti della musica rock.

Non si intende, in questa sede, solamente rievocare il vecchio connubio tra malinconia, genio e follia studiato tra l'altro anche dal filosofo e psichiatra tedesco Karl Jaspers, che sulla specifica materia pubblicò, all’inizio degli anni Venti del Novecento, un saggio intitolato, appunto, Genio e Follia, scritto fondamentale che inerisce i rapporti esistenti tra creatività e malattia mentale. Il dualismo tra i due elementi citati, insieme alle implicazioni dovute alla compresenza, in un unico soggetto, di talento artistico e sregolatezza esistenziale, può influenzare in senso distruttivo la vita di un genio creativo.

Il rapporto tra arte e disperata e intima solitudine dell’artista, poi, quello - in qualche modo collaterale a quest’ultimo - della difficoltà per l’uomo creativo (a prescindere da quale sia la tipologia artistica da lui coltivata, può infatti trattarsi di un pittore, di un poeta o di uno scultore, magari di un grande cineasta) di trasmettere agli altri il proprio messaggio e quello, infine, tra arte e "urgenza" di conferire una impronta di originalità alle proprie modalità espressive, costituiscono ulteriori aspetti critici che il musicista rock come qualsiasi altro artista deve gestire.

Sussiste peraltro anche il desiderio e la necessità di chi crea di "superare se stesso", di raggiungere capacità espressive non ancora sperimentate, di creare opere "immortali", forse certamente di livello superiore per significato intrinseco, comunque più "dense" e rispondenti alla personalità dell’autore sul piano dei contenuti.

Molti musicisti rock trascendono se stessi assumendo farmaci, stupefacenti o sostanze alcoliche e adottando prassi comportamentali e stili di vita tali da ottenere come unico risultato un incremento abnorme delle proprie tendenze narcisistiche e un irreversibile grado di isolamento rispetto al mondo che li circonda.

Il bisogno di auto-trascendenza, frequente tra la generalità degli uomini, è quindi particolarmente sentito da coloro che godono di particolari capacità creative e di talento artistico anche nel campo della musica giovanile per eccellenza. In fondo è tutto qui: non esistono, e se esistono sono dovuti unicamente a terribili coincidenze, decessi causati da "maledizioni" che pendono o che hanno pesato su particolari personaggi del rock il cui nome inizia per J, né esistono malefici che più genericamente colpiscono o hanno colpito in passato i musicisti rock.

Non esistono neppure "Club dei 27" né altri tragici raggruppamenti di rock star che sono passate a miglior vita. Lo scrittore - filosofo inglese Aldous Huxley, in una certa misura ispiratore dell’ideologia hippie in voga negli anni a cavallo tra i Sessanta e i Settanta del secolo scorso, scrisse: "Che l’umanità in genere sarà mai in grado di fare a meno dei Paradisi Artificiali, sembra molto improbabile. La maggior parte degli uomini e delle donne conduce una vita, nella peggiore delle ipotesi così penosa, nella migliore così monotona, povera e limitata, che il desiderio di evadere, la smania di trascendere se stessi, sia pure per qualche momento, è ed è stato sempre, uno dei principali bisogni dell’anima.

Peraltro, nel parlare delle morti nel rock americano durante gli anni Settanta, Mimmo Franzinelli ha rilevato quanto sia alto il numero dei musicisti scomparsi tragicamente: "Janis Joplin, Jimi Hendrix e Al Wilson nel 1970; Duane Allman e Jim Morrison nel 1971; Gram Parsons nel 1973; Tim Buckley nel 1975 e Tim Hardin nel 1980; e questi sono solamente alcuni tra i più noti.

A Hendrix, Joplin e Morrison la morte darà le ali per un postumo successo, di gran lunga maggiore di quello goduto dagli stessi artisti in vita, grazie anche alla morbosità popolare cinicamente sfruttata dall’industria discografica, sollecita a costruire una funerea mitologia intorno ai musicisti precocemente scomparsi. Il cannibalesco fenomeno non si è ripetuto per Phil Ochs.

Dopo l’antesignano luttuoso precedente, verso la fine degli anni Trenta, della morte del cantante di blues Robert Johnson, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison sono, quando si parla delle morti premature che si verificano nel mondo della musica rock, nomi molto ricorrenti insieme a quelli di Brian Jones, Jerry Garcia, Elvis Presley, John Lennon, Sid Vicious, Tim e Jeff Buckley, Townes Van Zandt, Ian Curtis, Keith Moon, Marc Bolan, John Bonham, Luigi Tenco in Italia e Kurt Cobain. Ecco i nomi e un breve profilo di altri morti "eccellenti" che entreranno nella storia del genere rock per esserne stati ispiratori più o meno diretti, protagonisti a pieno titolo e/o lucidi innovatori.

Billie Holiday. Infanzia segnata da miseria, abbandoni, razzismo, infelicità, la carriera di "Lady Day" si svolge prevalentemente tra la metà degli anni Trenta e la fine degli anni Cinquanta. Durante questo periodo la cantante si esibisce e registra con i migliori musicisti di jazz dell’epoca (Benny Goodman, Teddy Wilson, Artie Shaw, Count Basie, Lester Young) e si rifugia nel canto quasi a volere pervicacemente difendersi dal dolore cui è improntata la maggior parte della sua esistenza.

Il dolore continuerà a costituire una costante della sua intera vita, che si interrompe prematuramente nel 1959. Billie Holiday influenzerà, e l’influenza da lei esercitata anche sulle più recenti generazioni di cantanti black continua ancora oggi a sussistere, un intero stuolo di interpreti jazz e blues, tra le quali Janis Joplin e Amy Winehouse.

Charlie Parker. Caposcuola straordinario e innovativo suonatore di sassofono (Clint Eastwood gli ha dedicato un film uscito nel 1988, Bird, titolo ispirato dal nomignolo che era stato affibbiato al sassofonista), Parker fu certamente il primo tra i principali fautori di quella corrente musicale che rivoluzionò il jazz e l’intera musica moderna, il be-bop. Il suo astro splendette per una manciata di anni (calcò le scene del jazz americano per meno di vent’anni, avendo esordito a diciassette anni nel 1937), anni straordinari per la musica afro-americana, durante i quali, insieme a Parker, si affacciò negli ambienti del jazz professionistico un gruppo nutrito di musicisti che mutò per sempre le sorti della espressione musicale nera per eccellenza.

Suonò tra gli altri con Miles Davis, Howard Fats Navarro, Dexter Gordon, Milt Jackson, Bud Powell, John Lewis, Oscar Pettiford, Ray Brown, Charles Mingus, Max Roach, Roy Haynes. L’esistenza segnata dall’eroina e dall’alcool, quando Parker morì, a trentacinque anni, dimostrava il doppio degli anni che egli aveva effettivamente vissuto.

James Dean. Considero James Dean come, a tutti gli effetti, uno dei protagonisti del rock’n’roll, forma musicale che negli anni in cui l’attore americano visse era in via di affermazione definitiva. Icona pop tra le più significative di tutti i tempi, James Dean, che aveva abbracciato la carriera cinematografica all’inizio degli anni Cinquanta, divenne mito della celluloide dopo appena tre film: La valle dell'Eden (regia di Elia Kazan, Usa 1954), Gioventù bruciata (regia di Nicholas Ray, Usa 1955) e Il gigante (regia di George Stevens, Usa 1955).

Ciò che di lui rimarrà per sempre è quella sua immagine dolce e aggressiva insieme, e quell’aura da ribelle dalla vita disordinata che ispirava e si presentava in sintonia perfetta con i contenuti trasgressivi e contestatari della musica giovanile dell’epoca. Morì nel 1955 a ventiquattro anni, a bordo della sua Porsche, su una strada della California.

Nick Drake. Uno storyteller tra i più intimi e delicati che ha lasciato al mondo alcuni dischi capolavoro. Dall’ascolto di Five Leaves Left (1969), Bryter Layter (1970) e Pink Moon (1972) emerge una personalità d’artista schiva, misteriosa, profondamente poetica, che si esprime attraverso ballate folkeggianti dall’andamento malinconico e nostalgico in linea di massima eseguite con complessi musicali acustici scarni ed essenziali. In primo piano, all’interno delle incisioni, sempre la chitarra acustica, che Drake suonava con accordature molto ricercate per ottenere parti armoniche originali e inconfondibili. Morì a ventisei anni, nel 1974, dopo aver ingerito una dose eccessiva di farmaci.

Marvin Gaye. Importante innovatore e raffinatissimo autore di canzoni che rimarranno scolpite in eterno nel cuore degli amanti della Black music, Marvin Gaye esplode nel 1968 con What’s going on, album figlio dei suoi tempi che introduce quelle nuove sonorità che avrebbero influenzato tutti i musicisti Soul e R&B a venire e affronta temi strettamente politici che fanno proprie le istanze giovanili assai diffuse legate alla pace, all’amore universale e ai diritti civili. L’eccesso di novità fece si che, almeno inizialmente, l’uscita del disco venisse ostacolata dalla casa discografica Motown. La vita di Marvin Gaye registrò impennate altissime in corrispondenza dei suoi successi artistici, ma anche periodi di prostrazione profonda durante i quali egli prese in seria considerazione l’eventualità del suicidio. Morì nel 1984 a quarantacinque anni, assassinato dal padre.

Phil Ochs. Folksinger americano di stile vagamente guthriano, opera nel calderone ribollente della canzone di protesta degli anni Sessanta. Frequenta ambienti impegnati politicamente facendosi portatore, nelle proprie canzoni, delle istanze sociali e di quelle giovanili di pace, giustizia e libertà. Si distingue da altri autori (e dal Dylan del secondo periodo entrato nell’agone del rock’n’roll dai contenuti più intimistici a metà dello stesso decennio) per la coerente radicalità delle sue scelte musicali e politiche.

"All the news that’s fit to sing", album del 1964 contenente autentiche perle di genere "giornalistico" frutto della particolare concezione ochsiana della canzone di protesta, è il primo splendido disco di Phil Ochs. Negli anni il cantautore texano vive cocenti delusioni legate anche al fatto che egli non riesce a vedere un futuro per la propria musica. Muore suicida a trentasei anni, nel 1976.

Amy Winehouse. Minuta, non bella, trucco marcatissimo, molto generosa con tutti, dicono i suoi amici, soprattutto, però, detentrice di un talento vocale smisurato. E’questo un ritratto sbrigativo ma sufficientemente realistico di Amy Winehouse, cantante inglese che in tempi recenti e notevolmente ha contribuito al revival del Soul e del R&B nel Regno Unito. Erede tra le più virtuose di astri del passato come Billie Holiday e Dinah Washington, Amy, scomparsa nello scorso mese di Luglio, all’interno del panorama mondiale della musica pop, è stata una meteora, una stella caduta di cui abbiamo potuto ascoltare solo due dischi, peraltro di grande valore artistico - musicale: Frank (2003) e Back to black (2006).

La morte all’età di ventisette anni è stata preceduta da un periodo burrascoso per la cantante durante il quale Amy aveva ripreso ad assumere alcool e sostanze stupefacenti. Nelle settimane precedenti alla sua scomparsa era stato annullato il tour europeo: di fatto l’ultima esibizione di Amy Winehouse risale al 18 Giugno u.s., giorno in cui era stato interrotto il concerto di Belgrado, dove la cantante di Enfield si era presentata ubriaca

 

 

 

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.202) 3 luglio 2012 21:54

    Lo dice il nome stesso Winehouse............sicuramente nella prossima vita metterà su una bella vineria............
    Hic....hic............

  • Di (---.---.---.202) 3 luglio 2012 22:24

    Sta gente che sculettando ed urlando un po’ si é riempita di soldi in fretta elargiti da idioti, avrebbe dovuto imparare a lavorare come si deve , avendo uno scopo (vero) nella vita.
    In questo modo non si sarebbe montata la testa e non gli sarebbe venuta la cosiddetta ’depressione’ tipica delle persone viziate che non avendo niente da fare, ed avendo tutto in maniera facile, porta al rimbambimento della propria vita ed a un inevitabile autolesionismo !

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