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Tirannosauro, di Paddy Considine

 

Hannah implora il marito James al telefono di non farle ancora del male quando tornerà a casa, chiederà invece a Joseph “Mi terrai con te per favore?”. Invoca rispetto o tenerezza a due uomini, ognuno a loro modo preda di impulsi autodistruttivi, gente che si sta buttando via: il primo, geloso e violento, ha torturato e stuprato la moglie, senza quasi mai riservarle rispetto. Il secondo invece è vedovo da cinque anni di una donna che farebbe ancora fuggire da sé perché “La tratterei come un cane …ho fatto andar via l’amore da lei, piena di fiducia e di perdono verso tutti”, o perché “Non sono una bella persona” e “Nessuno è al sicuro con me". Hannah lo ha conosciuto quando si è rifugiato nel suo negozio, preda delle sue intemperanze alcoliche, e per prima cosa ha pregato per lui, cosa che Joseph le chiederà di fare pure per l’amico che un tumore sta spegnendo. Le parole di fede di Hannah sanno di tenerezza verso i suoi simili, più che preghiere paiono parole di conforto che un essere umano sa dare. Interessanti dunque i tratti somiglianti tra la moglie defunta e questa nuova amica. Eppure Joseph è sprezzante verso la fede di lei: “Non voglio niente da quel cazzone” (Dio) oppure “Fai tante buone azioni e Dio non ti aggiusta gli organi interni” le dice quando questa gli comunica che non ha potuto essere mamma.
 
Nella periferia di una qualsiasi grande città inglese (o irlandese?, così potrebbe sembrare da una sciarpa bianco-verde che salta fuori come simbolo di fratellanza durante il post-funerale) si svolgono le vicende violente e piene di tensione di “Tyrannosaur”. Film scritto e diretto da Paddy Considine, ma molto ben scritto e diretto, oltreché ottimamente interpretato da ogni componente del cast. Le riprese fanno sentire di far parte di quella comunità disgregata, di esserci dentro, le scene crude sono troppo verosimili per rendersi conto poi che siamo di fronte a pure e veritiere interpretazioni. C’è pure il contorno di xenofobia tipico di occidentali degradati, che ancora si professano “celti”.


 
Si indovina che Joseph, colui che dice di sé cose terribili, spera in fondo in qualcosa che migliori la sua vita, se si è avvicinato a Hannah, “l’unica a sorridermi”, o se conserva l’amicizia di Tommy, il bambino vicino di casa che gioca per strada col pupazzo che gli regalò papà, che non vediamo perché ora al suo posto c'è un patrigno, padrone di un cane terribile e ringhioso come lui. La festicciola dopo il funerale dell’amico morto di cancro è uno dei pochi momenti di speranza del film, riconciliazione di animi. Joseph è per quasi tutti i 91 minuti del film un 50-60enne alla deriva, disabituato ad avere qualcuno per casa o anche solo accanto, incapace di credere che qualcuno possa volergli bene, critico e recriminante verso quasi tutto. Ad Hannah dice ad esempio “non hai mai mangiato merda, non sai com’è là fuori”, crede che lei se ne stia tranquilla e protetta nello stile di vita della dignitosa zona di Manors Estate, mentre il viso di lei ci rimanda ai drammi casalinghi che sta vivendo. Qualcosa di meglio infatti avverrà e l’andatura di Joseph - che abbiamo vista barcollante sotto l’effetto dell’alcol, poi scoordinata e violenta quando era armato di cattivi propositi o scoraggiato da “Tutto quello che sta marcendo nella mia testa” – diverrà alla fine ordinata, diretta verso una destinazione concreta, col vestito blu e perfino la cravatta in tono.
 
Tanti i riferimenti, non so quanto volontari, alle periferie degradate o alle vite disagiate di Ken Loach, che di fronte a questo film di Considine sembrano perfino descrizioni addolcite, e tante le associazioni di idee con altri film. A beneficio del ricordo: In “Scarface” c’è Al Pacino eroe maledetto che, in un ristorante, si addita ad esempio negativo che permette agli altri ospiti di sentirsi normali, educati e perbene, nei loro vestiti eleganti; in questo film Joseph scrive ad Hannah, in merito ad una sua brutta vendetta, “Tutti lo pensano ma solo io lo faccio”. In “Gran Torino” si ritrova nel personaggio di Eastwood la stessa rabbia o intolleranza che ha Joseph verso i soprusi o ciò che non trova regolare secondo i suoi canoni. Nel recente “Paradies: Glaube” di Ulrich Seidl, la protagonista si rivolta contro la croce che ha tanto adorato, così come Hannah nella disperazione fa con un’immagine di Gesù Cristo: la fede insieme artefice dei nostri successi e responsabile dei nostri fallimenti? Eppure “siamo solo noi”, in tutti i modi in cui sappiamo affondare.
 
La decadenza dei personaggi – o della realtà di tante nostre vite - è suggellata dalle parole dell’ultima canzone della colonna sonora: “Eravamo sprecati figliolo, eravamo sprecati tutti sul tragitto dalla discoteca fino al nostro vialetto … e in tutti i modi in cui affondiamo”. E' il miglior film del 2011, best director, best actor e best actress al Sundance Film Festival, se vi par poco!

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