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The Way Back, il lungo viaggio firmato Weir

Erano quasi dieci anni che in Italia non vedevamo un film di Peter Weir, così l’arrivo di The Way Back diventa quasi un evento, anche perché il film è del 2010.

Weir non delude, anche se questo non è certo il suo miglior film, e ci regala un lungo viaggio, fisico soprattutto, tra ambienti incredibili.

Siamo nel 1941 e un gruppetto di prigionieri di un gulag in Siberia riesce a fuggire e intraprende un viaggio incredibile per raggiungere la Mongolia e fuggire così dagli orrori del regime comunista russo.
Il gruppo è variegato: polacchi, ingegneri, artisti, ladri e perfino un americano.

Sulla strada raccolgono ed accolgono anche una giovane ragazza anch’essa in fuga, ma il colpo è duro quando arrivano in Mongolia e scoprono che la dominazione comunista è arrivata fino a lì.
Così si rimettono in viaggio destinazione India.

In totale un viaggio immenso di diverse migliaia di chilometri percorso (la storia è vera) in diversi durissimi mesi.

E l’estremo delle situazioni è mostrato chiaramente.
Prima il gulag, con la dura vita e la morte quotidiana, poi il gelo della siberia, le zanzare del lago, l’infinito deserto mongolo e ancora le montagne del Tibet.
Obiettivamente una roba incredibile.

Weir ci mostra ambienti splendidi e l’evoluzione dei rapporti nel gruppo.
Sono daccordo con Niola quando dice che è curioso come l’idea del ritorno a casa, suggerita nel titolo, non sia in realtà poi sviluppata. Si tratta di un viaggio, un viaggio enorme, al limite una fuga, dall’oppressione comunista, dalla dominazione russa.

E arrivo anche a dire che il ritorno a casa, che compare poi in un finale molto all’americana, era obiettivamente evitabile perchè non consegna nulla di più allo spettatore di quanto ha già visto.

Due parole buone anche per il cast, convincente da Jim SturgessEd Harris, da Mark StrongColin Farrell e a Saoirse Ronan, unica donna e figura importante per spezzare la vicenda e dare equilibrio al gruppo.

 
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