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The Honourable President: Obama e la Palestina prossima ventura

Una serie televisiva della BBC, di fattura davvero eccellente, è stata trasmessa recentemente sulla piattaforma Sky Atlantic.

Si intitola “The Honourable Woman” ed è centrata sulle vicissitudini di una donna di origini ebraiche, Nessa Stein, che si propone, grazie al prestigio ed alle enormi ricchezze della sua famiglia (accumulate fornendo armi al nascente stato di Israele), di rimediare al passato "di parte" del padre, operando per la conciliazione ed il comune progresso di israeliani e palestinesi in favore di una loro possibile, finale pacificazione.

Sarebbe l’obiettivo di chiunque nel mondo abbia in odio il continuo spargimento di sangue fra due popoli storicamente e culturalmente “cugini”, ma, proprio come quel “chiunque” animato da buone intenzioni, la protagonista si trova letteralmente impigliata in un groviglio soffocante di nodi inestricabili e di trame fittissime, in cui amici e nemici si confondono in continuazione.

La serie va avanti così tra assassinii veri e finti suicidi, rapimenti e stupri, attentati e intercettazioni e falsi amici che sono nemici implacabili e nemici implacabili che si rivelano essere, alla fine, dei veri amici.

Dietro a tutto ciò gli oscuri burattinai che tirano le fila del Grande Gioco, manovrando a loro piacimento uomini e donne che sono poi gli uomini e le donne dei servizi, delle organizzazioni più o meno occulte, dei movimenti di liberazione - ma più che altro di vendetta - che passano veloci sullo schermo offrendo allo spettatore solo ombre di se stessi, apparizioni vaghe e i riflessi multipli di un gioco di specchi in cui i confini tra realtà e apparenza si perdono in una vasta gamma di sfumature. Dove il vero e il falso, il bene e il male, il giusto e l’ingiusto sembrano essere solo concetti vaghi, partoriti da una mente astratta quanto distratta.

Una spy story a tinte forti e intrighi al limite dell'incomprensibile, proprio come la politica internazionale sembra essere davvero molto spesso. Manca l’ultima puntata ancora e vedremo come andrà a finire.

Ma quello che si è delineato, alla fine (parziale) delle molte vicissitudini palesi e occulte raccontate fino a qui, è l’improvvisa decisione del Segretario di Stato a stelle e strisce (una donna, non a caso di colore, che sembrerebbe essere, a meno di improvvisi colpi di scena, la vera Grande Burattinaia) di togliere il veto ad una eventuale risoluzione ONU che sostenesse il riconoscimento dello stato di Palestina.

Oggi la decisione americana prospettata nella fiction sembra - il condizionale è d’obbligo - potersi concretizzare davvero nelle ventilate intenzioni della presidenza americana.

Obama minaccia di togliere il veto all’Onu”, è il titolo di Repubblica a firma di Federico Rampini, in cui si ipotizza una “vendetta” del presidente contro la vittoria elettorale del suo omologo israeliano, Benjamin Netanyahu, per il quale prova una nota avversione personale e politica.

Ancora una volta la fiction sembrerebbe anticipare la realtà, come è già accaduto più di una volta nella storia.

Togliere il veto USA a una risoluzione ONU sulla Palestina - e far nascere così lo stato palestinese con un atto unilaterale sancito dalla volontà internazionale - ripeterebbe la drammatica decisione del 1947, quando fu deliberata la nascita di Israele con un atto unilaterale per il noto e pubblicamente proclamato rifiuto di palestinesi e stati arabi di una qualsiasi spartizione del territorio.

Una decisione, la nascita unilaterale di Israele, da cui sono derivati oltre settanta anni di conflitto pressoché ininterrotto. Il rischio evidente è di ripetere un grave errore per rimediare ad un errore del passato (peraltro a quei tempi reso necessario ed impellente dalle tragiche conseguenze della persecuzione nazista).

Ma un nuovo errore che potrebbe far collassare, definitivamente, ogni possibilità residua di una trattativa politica fra le parti; trattativa che, parliamoci chiaro, se trova in Netanyahu un ostico oppositore, non ha affatto trovato finora nei palestinesi (nell’OLP prima e in Hamas poi), degli appassionati sostenitori così trasparenti e coerenti come vorrebbero far credere. 

A parte questo, Netanyahu si è affrettato a smentire le sue stesse affermazioni fatte in campagna elettorale (“con me non nascerà mai alcuno stato palestinese”) per riproporre una sua adesione (quantomeno di facciata) alla soluzione dei “due stati” (unica soluzione, sia chiaro, per salvaguardare non solo la democraticità di Israele, ma anche la ragion d’essere del sionismo finalizzata a creare uno stato ebraico: uno stato "unico" sarebbe a breve a maggioranza araba).

Ma la decisione americana, se confermata nei fatti (anche se una cosa è minacciare, ben altra è mettere in pratica), potrebbe assomigliare all’esplosione di un ordigno nucleare nei felpati corridoi della politica internazionale. Una deflagrazione che rimedierebbe ad una ingiustizia storica (di cui peraltro le élite palestinesi sono state ampiamente conniventi avendo rifiutato la spartizione del territorio per almeno quattro volte nel corso della storia contemporanea), creando uno sconquasso dalle conseguenze difficilmente prevedibili.

Potrebbe causare l’affossamento, forse per decenni, di qualsiasi ambizione democratica sulla Casa Bianca (con tutto quello che ci si potrebbe poi aspettare da lustri di politiche repubblicane sullo scacchiere mediorientale); potrebbe spingere un Israele stizzito, arrogante ed orgoglioso verso le tutt’altro che disinteressate braccia di una Russia tanto pragmatica quanto ambiziosa e, conseguentemente, l'abbandono definitivo di un insostenibile Assad da parte di Mosca e una vittoria, almeno temporanea, del Califfato in Siria. Potrebbe aprire le porte ad un ritorno in grande spolvero dell’Iran sul palcoscenico mediorientale e con lui i pesanti contrasti con turchi ed egiziani, emiri e sunniti di ogni tendenza, oltre che alimentare oltre misura i timori di Israele per il nucleare degli ayatollah. E potrebbe acuire drammaticamente le diffidenze dell’intero mondo arabo verso l’Occidente, alimentando quella certa qual "comprensione" inconfessabile che il terrorismo islamista trova in certi ambienti.

Insomma, una decisione capace di causare movimenti a cascata e terremoti a ripetizione le cui conseguenze sarebbero difficili perfino da immaginare.

Come recita la fiction della BBC: “se è questo il prezzo per una nazione...

Più pragmaticamente, e realisticamente, la Casa Bianca potrebbe decidere di agire con tutta la sua capacità persuasiva sull'anello debole della nuova coalizione di governo, quel Kulanu dell'ex deputato del Likud Moshe Kahlon, che con i suoi 10 parlamentari è davvero l'ago della bilancia della politica israeliana.

Se lui si sposta all'opposizione il governo non va da nessuna parte: lo sa lui, lo sa Netanyahu e lo sa anche Obama. Si tratta solo di capire qual è il suo prezzo. Che, ovviamente, sale ogni giorno che passa.

Premere su Kulanu perché il governo sia meno propenso a irrigidirsi sulla trattativa potrebbe essere davvero l'unica vera chance per la presidenza americana, se non vuole avventurarsi realmente in azioni da fiction che è bene restino nelle fiction.

A meno che non si vogliano sparigliare le carte senza sapere dove si va a finire dopo. Il che non sarebbe una novità, dopotutto, nella politica estera americana.

 

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