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Tg La7 e l’informazione che conviene

Come per ogni altro bene la domanda evolve; cambia col tempo le proprie esigenze; richiede ai produttori caratteristiche nuove e valori differenziali rispetto agli altri prodotti già presenti sul mercato e offerti dagli agenti che vi operano.
Il caso vuole che in questa situazione faccia da differenziale la qualità delle notizie, la scelta delle priorità con cui comunicare al pubblico i fatti del giorno, e la selezione delle informazioni da proporre alla gente.

L’informazione è un bene come un altro.
E per quanto da questo bene dipenda il nostro modo di essere cittadini, esso è soggetto alle leggi di mercato come ogni altra cosa.

Infatti, come per ogni altro bene, anche per l’informazione la domanda muta le proprie richieste, ricerca nuovi format, modifica le proprie preferenze.

A testimonianza di tale evoluzione, il tg di La7, grazie all’ingresso di Enrico Mentana e alla riformulazione dei propri telegiornali, ha quasi quadruplicato l’audience rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso (2% contro 8,5%). 

Com’è possibile tale, quanto meno sostanzioso, incremento?
Parte di esso deriva da quote di domanda “rubate” ai concorrenti: il Tg5 perde circa il 5% di share, e il Tg1 quasi il 3%. Il resto è invece deriva dalla soddisfazione di una parte di domanda non coinvolta da nessuno dei principali competitor: la fascia di età tra i 18-24 anni, in genere più restìa a seguire i notiziari, è stata piacevolmente colpita dal nuovo tg di La7, al punto da iniziare a sintonizzarsi sulla rete nei diversi appuntamenti giornalieri. Perfino lo zoccolo più duro per conservatorismo, gli adulti tra i 50-60 anni, hanno ceduto alla novità.

Cosa vuol dire questo? Vuol dire che come per ogni altro bene la domanda evolve; cambia col tempo le proprie esigenze; richiede ai produttori caratteristiche nuove e valori differenziali rispetto agli altri prodotti già presenti sul mercato e offerti dagli agenti che vi operano.

Il caso vuole che in questa situazione faccia da differenziale la qualità delle notizie, la scelta delle priorità con cui comunicare al pubblico i fatti del giorno, e la selezione delle informazioni da proporre alla gente.

Ed ecco che i telegiornali ex pionieri della libera e corretta informazione sono oggi piegati sotto il peso di più libere e corrette redazioni.

Nasce quindi un nuovo trend che vede protagonisti i fatti, non le informazioni.
Niente analisi o rielaborazioni (oggigiorno, diciamocelo, a volte un po’ distorte) tipiche dei produttori di informazioni. La gente richiede di conoscere i fatti: trent’anni di litigate in tribune politiche televisive avrebbero sfiancato chiunque, e anche il popolo italiano ne ha piene le tasche. Ora si ricerca un ritorno alla notizia, quella nuda e cruda, concreta, che ha lo spazio di qualche decina di secondi ma che ti fornisce un dato sul quale in autonomia poi prendere una posizione.

Siamo pronti ad ingerire migliaia di accadimenti, purché siano raccontati con occhio oggettivo e quanto meno ingombrante possibile.

Così: decolla il telegiornale in diretta ventiquattro ore al giorno di Sky, Sky tg 24; ottiene strabilianti risultati il lancio di Current tv, la tv di Al Gore che offre reportage di giornalisti indipendenti con un elevato grado di interazione con gli utenti, sulle reti di Murdoch; infine, ma non meno importante, il nuovo tg sul canale di Telecom, La7.

Cosa deduciamo da tutto questo? Che c’è un modello di comunicazione giornalistica che starebbe andando verso la condanna: il Tg1, se il mercato non fosse distorto, sarebbe alla lunga un “dead man walking”, un investimento a perdere.

Ma, come dicevamo, il mercato è distorto. C’è una mano invisibile che riduce in proprio favore gli svantaggi che la concorrenza sta apportando ai tg tradizionali: la politica.

La RAI, schiacciata sotto il peso del Governo, presenta ormai telegiornali che rasentano il ridicolo: con l’Italia che arranca sotto il macigno della crisi economica, si offrono in pasto a milioni di cittadini lunghi servizi che vanno dalle mutande anti-scippo ai nuovi negozi a portata di cane.

Si racconta di realtà completamente parallele all’Italia che ogni sera accende tristemente il proprio televisore dopo una giornata di lavoro mediamente mal retribuita, che vorrebbe sapere come vanno davvero le cose nel Paese in cui vive.
Per quanto riguarda la Mediaset, come tutti sapranno di proprietà della famiglia del Presidente del Consiglio, al telegiornale lancia servizi di approfondimento sulla chirurgia plastica e sui traumi riportati da Falco Briatore, il piccolo della “scuderia Renault”, causati dal sequestro del maxi yacht del padre e dallo stress di trasferimento in una suite di un albergo a 5 stelle.

Alla prima esigenza del Capo, poi, la rete ammiraglia della famiglia Berlusconi, sguinzaglia il suo istruitissimo seguito di giornalisti alle calcagna del magistrato scomodo di turno, montando - come di recente - servizi su un paio di calzini turchesi e una serie di fotogrammi che dovrebbero testimoniare gli atteggiamenti “stravaganti” di un giudice che ha osato opporsi al Boss. (Boss nel senso di capo, sia chiaro: è inglese, non fate i maliziosi...)

E nonostante questo, la politica continua a riempire con soldi pubblici il vuoto pneumatico di contenuti e forma che questi tg insistono nel propinarci. Si distorce l’ordinario funzionamento del mercato che, col successo di un nuovo standard di informazione, sta marchiando come desueto il modo di far passare per oggettive informazioni distorte ed editoriali improbabili. (Ricorderete il “pizzico di orgoglio nazionale”...)

Il pubblico davanti a questi spettacolini reagisce con insofferenza, cambiando canale e ricerca maggiore serietà e imparzialità nella descrizione dei fatti. 
Non nelle informazioni, in cui si aspetta che il giornalista prenda parte nella vicenda e racconti con un occhio legittimamente più soggettivo gli accadimenti che intende raccontare, ma pretende obiettività e onestà nella comunicazione delle vicende del giorno.

Insomma, ormai il modello Minzolini sta uscendo dai format di successo. Il mercato sembra starlo sta bocciando.

Nonostante ciò, però, il suo tg è tenuto in piedi senza una ristrutturazione che in un libero mercato sarebbe fondamentale per tenere i passo coi competitor, senza un minimo di autocritica e riformulazione del prodotto offerto al pubblico.

Contro ogni legge dell’economia (e forse contro ogni senso del pudore): è un prodotto sta calando i sui margini di produttività, la formula sta allontanando i suoi “consumatori abituali”. Non è più vincente, perché si basa su un criterio errato: quello di pensare che non sia tempo di libera informazione in libero Stato. 

Ma il gentile pubblico che ci sta leggendo, ora, in questo istante, è la testimonianza concreta che presto lo sarà. O forse lo è già? 

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