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Tanti Pollicino nel paese di Pulcinella

Fra Napoli e Caserta le strade sono ormai invase dai rifiuti, non più occultati ma sotto gli occhi di tutti

Tanti Pollicino nel paese di Pulcinella

Pollicino lasciava molliche di pane. Napoletani e casertani, invece, lasciano monnezza lungo le strade più trafficate di questo territorio: il raccordo autostradale, la Quater Domitiana, l’Asse Mediano, le antiche vie di paese e le arterie più recenti.
Sarà perché non hanno il navigatore?
 
Senza soluzione di continuità, un ininterrotto deposito di immondizia, una discarica continua, che cresce non in altezza ma in lunghezza. Un popolo di bruchi, che scacazza merda ad ogni passo. Ed ogni tanto, nelle piazzole di sosta, negli spiazzi di campagna, c’è lo scarico più grosso, lo stronzo fumante, che brucia di notte, ad opera dei “soliti ignoti”.
 
E quando chiami il 115, poveretti, ti rispondono scocciati. Per loro è il tran tran. Ormai, per i piccoli mucchi di ruote che bruciano in una campagna sperduta, i pompieri non si muovono nemmeno. E’ difficile trovarli, le segnalazioni (quando ci sono) non sono mai precise e spesso, quando loro arrivano, il fuoco si sta già spegnendo da solo. E la diossina è già nell’aria. Così, sono diventati selettivi: mettono mano alle pompe solo se c’è un grosso incendio.
 
Che nelle campagne, sotto la terra, ci fosse di tutto lo sapevamo già. Saviano ha descritto ciò che capitava negli anni ’70 e ’80, quando l’Italia post boom aveva bisogno di risalire la china e non andava tanto per il sottile, quando la camorra era forte di mano e di testa, spalla sicura del potere.
 
A noi ragazzini raccontavano, come fosse una favola, di fusti col teschio sepolti nelle fondamenta delle case (tariffe per il proprietario: da uno a cinque milioni), di camionisti diventati milionari da un anno all’altro, di carichi seppelliti sottoterra con tutto il rimorchio, di scarichi nei Regi Lagni, con l’acqua che diventava polvere argentata al contatto con quella roba.
 
Ma almeno non eravamo costretti a vederlo ogni giorno. E al tramonto, di ritorno da Caserta o da Napoli, guardando il sole che si spegne nel mare, si riusciva ad avere l’illusione che – dopotutto – questo fosse ancora un posto stupendo. Campania felix.
 
Beh, non è più così. Il sottosuolo non ce la fa più. Non c’è più posto. E così si riempiono le strade. Davanti a tutti. Alla luce del sole. Tanto nessuno dice niente. Quella roba sembra vomitata dalla terra, dopo un’indigestione durata 30 anni.
 
Buste di plastica, ruote, lastre di amianto, batterie di automobile. Sono lì da anni o solo da pochi giorni. C’è un po’ di tutto. E la fantasia non manca. Del resto, siamo o no il paese di Pulcinella, della pizza e del mandolino? Incastrati in un eterno passato, non guardiamo il presente, per paura, forse, o per incapacità di porvi rimedio.
 
Così continuiamo a raccontare la stessa favola di cento anni fa: “Chisto è ‘o paese d’ ’o sole, chisto è ‘o paese d’ ‘o mare”.
 
Quando Luca Abete, inviato di “Striscia la notizia”, ha chiesto al sindaco di Acerra come mai non fosse mai partita la bonifica dei pozzi inquinati (chiusi con decreto 12 anni fa, ma comunque usati dai contadini per irrigare i campi), questi gli ha risposto con una faccia contrita che è durata giusto due secondi. Poi però gli ha regalato una bella statuetta di Pulcinella. In fondo, è quello il marchio storico del territorio, impresso su tutti i prodotti locali, dalle uova ai cartoni delle pizze. E poco importa se sotto questa terra c’è di tutto: le leggi del marketing territoriale sono queste.
 
Questa è la nostra storia.
 
Ma cento anni fa non c’erano le industrie e non c’erano gli scarichi industriali. Non c’erano liquidi tossici e la camorra ammazzava con le mollette nella panza, per onore, per comandare sul quartiere, per fare il guappo, al massimo per gestire il gioco clandestino e il mercato nero di alimenti, non per farsi i miliardi trafficando in morte, dalle armi alla droga, fino ai rifiuti tossici.
 
Cento anni fa non c’erano le macchine, i cellulari, i giocattoli di plastica e tutte le cose inutili che si comprano e si buttano nel giro di pochi giorni o al massimo di pochi mesi, in nome del consumismo, che segue le leggi dell’economia più che della vita.
 
Così, cento anni fa, se pure i governanti erano inetti o collusi, se pure i cittadini erano incivili, al massimo ci si beccava un’epidemia, ma non si correva il rischio di distruggere un territorio per secoli, come sta succedendo in Campania, fra Napoli e Caserta.
 
Pulcinella non ha più fame.
Ora ha la panza. E il suo portafogli è pieno.
Ma è triste e non sa più cosa comprare.
 
 
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